Editoriale
Non quante ma come
Dati, osservazioni, monitoraggio, studi e ricerche. Siamo bombardati da nuove notizie sulla beccaccia, sull’etologia della specie e sullo status della popolazione paleartica. Che siano dati solidi per arricchire realmente le attuali conoscenze sulla Scolopax rusticola o semplicemente ricerche amatoriali oppure specchietti per le allodole che poco o nulla hanno a che fare con la rigorosa ricerca scientifica non è questa la sede per stabilirlo.
Ma in mezzo a questo battage di informazioni, che è oramai quasi una battaglia all’ultimo respiro tra tutti coloro che a vario titolo sono interessati alla specie, ancora, stringi stringi, quello che anima maggiormente le discussioni tra cacciatori, in particolare sul web, è la querelle su chi sia il vero cacciatore.
Da una parte c’è chi giustifica in nome della passione la propria bramosia per un carniere sempre pieno (forse troppo…), dall’altra chi pratica e difende la cosiddetta caccia sostenibile dove, prima dell’abbattimento, conta un comportamento definito etico.
I primi accusano i secondi di trincerarsi nella loro inconsistenza venatoria sventolando la bandiera dell’etica. I secondi puntano il dito contro chi usa ancora termini come passione e tradizione per giustificare comportamenti che non appartengono più alla caccia moderna e alla cultura venatoria e ambientale del secondo millennio.
Da un po’ di tempo, poi, si è formato un terzo schieramento, quello dei cacciatori scienziati senza se e senza ma, che ne sanno di più di zoologi, tecnologi, tecnici faunistici, studiosi e ricercatori, ma che, leggendo quello che scrivono e proclamano, in tanti casi riesce difficile pensare che si siano applicati nella lettura di studi e ricerche più lunghi di un post di Facebook trovato a caso nel mare magnum della rete (senza peraltro capire se pubblicato da fonte attendibile).
E questo gruppo va a braccetto con quello dei cacciatori difensori del territorio che però, in alcuni casi, lasciano bossoli e mozziconi di sigaretta a terra in barba alla legge e alla buona educazione; solo per fare un esempio.
I tradizionalisti sono sempre in prima fila, niente tecnologia, niente orpelli, niente di niente, essenziali e immutati nel tempo (nel bene e nel male) e questi spesso sono in conflitto con i “cacciatori Rambo” che nel bosco fanno sempre migliaia e migliaia di chilometri dietro alla coda dei loro super cani, sfidando ogni volta pericoli e traversie di ogni tipo, sovente attrezzati con ogni genere di tecnologia, perché cercare un uccello di 300 grammi con il proprio ausiliare è per loro come dover affrontare la battaglia di Stalingrado (che, tra parentesi, dichiarano di vincere sempre).
E in mezzo corrono, sottovoce, tutti quei cacciatori “normali” che cacciano semplicemente nel rispetto della legge e delle regole che l’esercizio di una caccia praticata correttamente impone. Purtroppo la loro voce e la loro copiosa presenza nelle fila del mondo venatorio si percepisce meno, ma sarebbe invece utile dare loro un palcoscenico su cui recitare le ragioni e la bellezza della caccia, mettendo in evidenza la cultura positiva di cui questa attività è portatrice. Cultura ambientale, faunistica, cinofila e, per me, anche sociale. Questo aiuterebbe non poco a non essere definitivamente additati dai nostri detrattori come una categoria di persone “fuori tempo”, destinata a scomparire.
La caccia, invece, non è fuori tempo, né fuori moda, perché, se è vero che è portatrice di un prezioso bagaglio culturale e che il contributo dei cacciatori alla gestione faunistica e ambientale è importante, non dobbiamo consentire a un “manipolo di urlatori” di fissare l’immagine dei cacciatori in un quadro dipinto da un pessimo artista.
Ogni muro è una porta e le porte si possono sempre aprire. E le apriranno per tutti quei tanti che hanno consapevolezza che la caccia è molto di più che sparare a un selvatico e che essere bravi cacciatori non vuol dire soltanto sapere usare un fucile, ma significa soprattutto usare la testa e il cuore, e praticare in maniera rispettosa e con competenza e conoscenza questa grandissima passione. Perché la natura, ci ricorda Gary Snyder, non è un posto da visitare. È casa nostra.
© Viviana Bertocchi
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