Popolari spaccati: il parlamento europeo ha approvato la legge sul ripristino della natura; a breve s’avvierà il negoziato col Consiglio europeo sul testo definitivo.
Se ne sta parlando soprattutto per motivi politici (è fallita la spallata da destra: ventuno popolari hanno infatti votato con i socialisti anziché con i conservatori), ma alla legge sul ripristino della natura approvata ieri dal parlamento europeo (336 favorevoli, 300 contrari, 13 astenuti) bisognerebbe prestare attenzione innanzitutto per i contenuti.
In attesa che s’avvii il negoziato col Consiglio europeo sul testo definitivo, agli Stati membri dell’Unione la legge impone infatti di ripristinare il 20% delle aree terresti e marine entro il 2030, per arrestare la perdita di biodiversità, e di salvaguardare gli spazi verdi urbani, da aumentare del 5% entro il 2050 (previsto minimo il 10% di copertura arborea in città); si prevede inoltre di dimezzare l’impiego dei fitofarmaci, di riumidificare le torbiere prosciugate e d’intraprendere iniziative per aumentare la biodiversità nei terreni agricoli.
Petrini: ripensare l’agricoltura
Temendo di veder ridurre la produttività, sono state proprio le associazioni degli agricoltori le principali avversarie della legge. Ma su Repubblica di oggi Carlo Petrini, fondatore di Slow food, ricorda che «senza un ambiente sano e biodiverso i raccolti saranno sempre più vulnerabili alle malattie e agli effetti del cambiamento climatico»; e l’agricoltura convenzionale «che gestisce la terra come mero input d’un processo di produzione […] non è più compatibile con l’attualità». Bisogna semmai tener presente che secondo la Commissione europea ogni euro investito nel ripristino della natura potrà generarne circa dodici; a una spesa di 154 miliardi si stima infatti che corrispondano benefici per 1.860.
Dopo averla approvata, il parlamento europeo ha diffuso una nota in cui ricorda che la legge non impone la creazione di nuove aree protette; sarà inoltre possibile rinviare gli obiettivi di ripristino «in caso di conseguenze socioeconomiche eccezionali».
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