Da anni il recupero degli ungulati, cinghiali inclusi, feriti durante l’attività venatoria o di controllo e per incidenti stradali rientra tra le attività fondamentali e funzionali alla gestione faunistico-venatoria a carico di riserve alpine, ambiti territoriali di caccia e aziende faunistico o agri-turistico venatorie. Ovunque questa pratica viene prevista come obbligatoria per due motivazioni, di carattere etico la prima, economico la seconda. La fauna selvatica è un patrimonio della collettività di cui il cacciatore può beneficiare nello svolgimento di un’attività, quale appunto la caccia, che mira allo sfruttamento razionale e sostenibile di una risorsa rinnovabile. Il recupero dei selvatici, e quindi dei cinghiali, feriti va quindi considerato un servizio rivolto alla collettività, piuttosto che al cacciatore, in quanto è finalizzato alla gestione delle popolazioni di ungulati con finalità sociali e igienico-sanitarie. In linea generale, l’istituzione del servizio di recupero da parte degli enti competenti nella gestione faunistico-venatoria risponde a un dovere etico, a motivi pratici ed economici e alla necessità di evitare il superamento dei piani di abbattimento assegnati: non è infatti accettabile ferire un animale e lasciarlo morire di stenti, così come risulta impensabile, dal punto di vista economico, perdere un prodotto di così elevato valore, quale appunto la carne di selvaggina. Il recupero dei cinghiali e di tutti gli animali feriti si rende inoltre indispensabile per motivi di pubblica sicurezza, in caso di animali feriti vaganti in aree antropizzate o attraversate da una fitta rete viaria.
In merito alle finalità, è ottima la descrizione dell’allora Provincia di Bologna: “L’attività di recupero degli ungulati feriti durante l’esercizio venatorio o per altre cause non è un’azione di caccia; si configura come un servizio di volontariato a contenuto etico ambientale, altamente qualificato, per la tutela e la gestione delle popolazioni degli ungulati con finalità sociali ed igienico sanitarie”. Questa descrizione apre a molte possibilità di utilizzo della pratica, per esempio durante i giorni di silenzio venatorio o nelle zone bandite alla caccia. Queste possibilità sono tuttavia fonte di dibattito e di contrapposizione anche e soprattutto sul piano normativo e giuridico, come si evince dalle numerose sentenze nelle quali invece si afferma il divieto.
Una situazione complicata
A causa del continuo incremento numerico e di areale di distribuzione degli ungulati, e di conseguenza dei cacciatori praticanti, il cane da traccia è diventato l’ausiliare più importante nel nuovo scenario venatorio, all’interno del quale il recupero dei selvatici feriti ha assunto una funzione importante, soprattutto laddove è più facile sbagliare il colpo a causa della metodica praticata (braccata). È per l’appunto il caso dei cinghiali. Anche nei confronti di questa specie, che pur da molti è considerata di serie B rispetto a capriolo, cervo, camoscio e daino, è previsto l’obbligo del recupero quando sono feriti: d’altra parte è proprio nei confronti del cinghiale che viene indirizzata la maggior parte degli interventi, in considerazione dell’elevato numero di azioni di caccia effettuate e del numero di cacciatori impiegati e anche perché sono molti i cinghiali che riescono a superare la linea delle poste, o il fronte dei battitori-canai, riportando ferite più o meno gravi. Benché in questi anni nella materia siano stati fatti passi da gigante, in Italia, diversamente dai Paesi mitteleuropei, la reale dimensione del problema del recupero dei cinghiali feriti o andati a morire lontano dal luogo in cui sono stati colpiti, in Italia è ancora sottostimata. Come scriveva Fulvio Ponti nell’anno 2001 nel suo Il patrimonio cinghiale “purtroppo manca tale cultura, e fino a qualche anno fa se il cinghiale non rimaneva sul posto, oppure non veniva rintracciato entro 50-100 metri da segugi o battitori, era un [selvatico] immediatamente dimenticato, oppure ricordato solo nel novero delle padelle. Da qualche anno ci si sta rendendo conto che il problema è ben più serio, dai risvolti etici, venatori, e pure sanitari (una carcassa che imputridisce in qualche angolo) e si tenta in qualche modo di porvi rimedio, in modi spesso anacronistici. Del resto è vero che pochissimi segugi seguono il cinghiale dopo che sia stato colpito, e che nel forteto non è proprio tanto semplice procedere a cercare un qualcosa che forse ci sarà e forse no”.
Secondo statistiche recenti si può considerare che una squadra di cacciatori di braccata spari a un numero almeno doppio di cinghiali rispetto a quelli che cadono direttamente sul posto in corrispondenza delle poste: di questi almeno il 20-30% rimane ferito in modo più o meno grave. In pratica se viene sparato a 100 cinghiali, 20-30 possono risultare feriti (15-20% invece per le altre specie di ungulati): si tratta quindi di un numero rilevante e comunque ben superiore rispetto agli altri ungulati, ove il prelievo viene praticato all’aspetto con fucile a canna rigata. È appurato infatti che i ferimenti aumentano in proporzione al maggior uso di armi a canna liscia.
Organizzare e coordinare
Un cinghiale ferito si comporta in modo diverso rispetto a un altro ungulato e rende il recupero ancor più difficile: la considerevole quantità di grasso sottocutaneo presente tende infatti a ostruire il foro di uscita del proiettile, contenendo quindi l’emorragia e limitando moltissimo i segni lasciati sull’Anschuss e sul percorso di fuga, così come il folto pelo posseduto limita la dispersione del sangue. Anche il modo di correre radente al suolo e senza balzi limita ulteriormente la marcatura del colpo ricevuto. Un cinghiale ferito assume comportamenti diversi a seconda di sesso ed età: il solengo tende a isolarsi, mentre i giovani e le femmine si aggregano al gruppo e rendono pertanto assai difficoltosa la ricerca. Inoltre esiste il problema che un cinghiale adulto ferito può costituire un serio pericolo anche per il recuperatore, in quanto tende a caricare: soprattutto questo avviene nei confronti del cacciatore alle poste.
L’attività di recupero degli ungulati feriti risulta necessaria a limitare tali perdite: proprio per questo, analogamente che per gli altri ungulati, diventa importante istituire, a livello almeno provinciale o di Atc o ancor meglio di riserva alpina, un centro di coordinamento del servizio di recupero, che avrà il compito di coordinare le azioni di recupero, con i cani da traccia, dei cinghiali (ma non solo) feriti. L’obiettivo è individuare, di volta in volta, cani e conduttori abilitati adatti alle diverse esigenze (territorio, specie coinvolta), così da assicurare una loro efficiente organizzazione in termini di disponibilità. In questo modo si viene a creare un rapporto indissolubile tra conduttore di cane da traccia, cacciatore responsabile del ferimento e referente del servizio di recupero, al quale spetta il compito di organizzare l’intervento, materialmente svolto dall’unità cinofila formata dal conduttore e dal cane, entrambi abilitati. In ogni istituto venatorio dovrà essere attivato un certo numero di unità cinofile abilitate al recupero e in grado di coprire le esigenze che via via si manifesteranno durante la stagione venatorie: è evidente che se si tratta di piccole realtà territoriali risulta sufficiente un solo conduttore con il proprio cane, ma se il territorio di intervento è ampio occorre avere a disposizione in ogni momento un numero maggiore di unità cinofile, che dovranno necessariamente essere coordinate tra loro.
Sensibilizzazione e addestramento
A prescindere dalla specie a cui è rivolto, il servizio di recupero deve essere necessariamente svolto sulla base di un apposito regolamento, avvalendosi di conduttori abilitati attraverso corsi ed esami e di cani abilitati tramite prove di lavoro Enci: ciò è fondamentale per garantire la correttezza e il buon risultato dell’intervento. Cani e conduttori devono naturalmente svolgere un numero sufficiente di recuperi ogni anno per acquisire e mantenere un elevato livello di efficienza: l’esperienza acquisita costituisce un elemento importante per il successo ottenuto, perché il solo possesso dell’abilitazione e del brevetto per il cane non è sinonimo di garanzia di efficacia. Va rilevato inoltre il fatto che, ancora oggi, se localmente avvengono pochi recuperi non è per la mancanza di figure abilitate ed esperte, quanto piuttosto perché i cacciatori si servono poco del servizio, soprattutto quando a essere interessato è il cinghiale. Per questa ragione risulta necessario effettuare un’intensa e diffusa opera di sensibilizzazione e istruzione, da attuarsi sia nell’ambito dei corsi di abilitazione alla caccia degli ungulati sia in appositi corsi di aggiornamento. Proprio sulla formazione e l’informazione si dovrà investire nei prossimi anni con l’obiettivo di un maggior coinvolgimento dei cacciatori alla gestione faunistico-venatoria, e non solo al mero abbattimento: in quest’ottica il recupero dei selvatici feriti, cinghiali inclusi, assume un ruolo sempre più importante in ragione anche del numero sempre più elevato di abbattimenti assegnati e conseguentemente feriti o incidentati. Particolare attenzione dovrà essere data alla preparazione dei conduttori, ma anche alla selezione e preparazione dei cani da traccia. In questi anni si è assistito a un innalzamento del livello della formazione, anche attraverso una standardizzazione del percorso formativo, ormai assestato in 18-20 ore minime di lezioni didattiche e 4-6 ore minime di lezioni pratiche, e la limitazione del numero di candidati partecipanti ai corsi. Ogni corso sarà poi accompagnato dalla prova finale d’esame innanzi a una commissione valutatrice istituita dall’ente competente, regione o provincia.
In ogni provincia o regione è istituito un apposito albo dei conduttori di cani da traccia, nel quale sono iscritti coloro che possiedono la relativa qualifica ottenuta nella stessa provincia, oltre a coloro ai quali è stata riconosciuta l’equipollenza dell’abilitazione ottenuta altrove: ciò giustifica, ancor più, la necessità di prevedere percorsi didattici equiparabili. La preparazione di chi si occupa del recupero deve essere ancor più rigorosa rispetto a quella prevista per i cacciatori di ungulati e di cinghiali, che comunque è già superiore rispetto a quella prevista per le altre specie di selvaggina: il recuperatore deve essere colui che aiuta il cacciatore e pertanto deve essere mediamente più preparato e possedere un’etica che costituisca un esempio di riferimento per tutti. Il conduttore di cane da traccia deve essere molto motivato, con un grande spirito di sacrificio e una grande volontà di migliorare il mondo venatorio, soprattutto quando si vanno ad interessare i cacciatori di cinghiale in braccata, sicuramente meno preparati sul piano tecnico rispetto ai praticanti del prelievo di selezione di cervidi e bovidi.
Protagonisti professionisti
L’importanza del cane nel recupero dei cinghiali e ungulati feriti è indiscussa e pertanto dovrà essere presentata molta attenzione alla selezione e soprattutto alla preparazione e all’addestramento. Si tratta di cani dall’olfatto finissimo che, innata per selezione o acquisita con l’addestramento, hanno la capacità di seguire con precisione e in silenzio la traccia del selvatico ferito, tralasciando tutte le altre specie. Le razze che meglio di tutte si prestano a essere impiegate per il recupero sono rappresentate da segugio bavarese, più agile e leggero, segugio annoveriano, più pesante e robusto, e bassotto tedesco a pelo duro, ma anche da dachsbrake, drathaar, segugio tirolese, terrier e spaniel tedesco. In tutti i casi, a prescindere dalla razza di appartenenza, il cane deve essere abilitato attraverso prove specifiche di lavoro da un giudice Enci; l’abilitazione ha una durata temporale limitata (2 o 3 anni) e può essere automaticamente rinnovata per un ulteriore limitato periodo in caso di svolgimento di un certo numero di interventi con esito positivo. A tal proposito, in ogni regione o provincia è prevista una specifica regolamentazione che può prevedere anche l’obbligo di ottenere un giudizio elevato nella prova cinofila. È importante che il conduttore sia anche il proprietario del cane che intende abilitare e questo perché è necessario che tra le due figure, conduttore e cane, si crei un rapporto strettissimo e indissolubile, che assicura garanzia di successo durante lo svolgimento dell’attività di recupero: l’unione cane + conduttore costituisce appunto l’unità cinofila da traccia. È lo stesso termine attribuito a testimoniare l’esistenza di uno stretto legame tra queste due figure.
Ogni ente competente ha stabilito nel proprio regolamento le modalità operative del recupero, incluse quelle per i cinghiali feriti, che generalmente non vengono differenziate rispetto alle altre specie di ungulati, prevedendo le relative limitazioni: differenze importanti tra provincia e provincia sono rilevabili, per esempio, per quanto riguarda i giorni e gli orari consentiti e le zone di caccia chiusa. In alcune realtà territoriali il recupero dei selvatici feriti viene consentito solo nei giorni consentiti alla caccia, in altre è previsto che nei giorni di divieto di caccia l’intervento debba essere concordato con la polizia provinciale o effettuato alla sua presenza. Un tempo in gran parte delle province il recupero veniva effettuato proprio dagli agenti della polizia provinciale, cosa che localmente avviene ancora anche se in modo più limitato rispetto al passato. Lo stesso vale per gli orari e per le zone ove è possibile effettuare il controllo. In alcuni casi sono state previste norme differenziate per il recupero dei cinghiali feriti rispetto alle altre specie di ungulati: è il caso della Provincia di Varese, che autorizza le squadre organizzate per la caccia del cinghiale a effettuare in proprio il recupero dei cinghiali feriti nel corso dell’attività venatoria durante la stessa giornata, rispettando le norme di tempo e di luogo come riportate nel calendario venatorio integrativo regionale, anche utilizzando razze di cani impiegate per la braccata.
Ogni intervento di recupero, a prescindere dalla specie interessata, deve essere denunciato mediante compilazione di apposito modulo all’inizio o alla fine; ciò per renderlo legittimo, perché potrebbe essere considerato mero esercizio dell’attività venatoria. Infatti il conduttore è in possesso di fucile e la normativa vigente considera attività venatoria anche il cosiddetto l’atteggiamento di caccia, riconducibile per esempio al semplice vagare con appresso il fucile. I regolamenti per il recupero degli ungulati feriti, e quindi dei cinghiali, normano infine anche l’addestramento degli ausiliari, prevedendo specifiche deroghe al loro utilizzo durante l’anno rispetto al normale addestramento dei cani da caccia, consentito in territorio libero dalla terza domenica di agosto alla seconda di settembre, previa comunicazione ai competenti organi preposti alla gestione faunistica. Ai conduttori abilitati e iscritti nell’apposito albo viene altresì consentito l’uso e la detenzione di pelli o altro materiale organico legittimamente acquisito e idoneo all’addestramento e allenamento degli ausiliari: anche durante l’addestramento il cane dovrà essere munito comunque di collare ad alta visibilità, così come è obbligatorio l’uso del guinzaglio lungo, almeno per gran parte della traccia artificiale.