Editoriale
Il “libro” della ferma
Sono passati dieci anni da quando Beccacce che Passione è passata di mano. Da quella esperta di Giorgio Lugaresi (un nome che non ha bisogno di presentazioni) alla mia. E così dal nuovo editore mi fu affidato il compito di coordinare la pubblicazione, in edicola con cadenza bimestrale.
In dieci anni la caccia, tutta, è radicalmente cambiata e la mia speranza è quella di avere correttamente interpretato questo cambiamento, grazie al prezioso e insostituibile aiuto dei miei collaboratori, che voi che leggete queste pagine ben conoscete e apprezzate. Oggi, dunque, la caccia è un’attività prettamente umana, del tutto svincolata da una supposta istintualità predatoria e da una qualche esigenza alimentare. La caccia col cane alla beccaccia, in particolare, rappresenta un moderno concetto di cultura ambientale e un concentrato di pura emozionalità percepibile solo da chi ha il privilegio di avvertirne tutta la sublime potenza. E i nostri cani sono il ponte levatoio che ci consente di entrare nel mondo della natura che, nel contesto attuale, è spesso lontano dal nostro quotidiano e dalla nostra realtà. La beccaccia è il simbolo della wilderness di cui si percepisce la fragilità ma che, comunque e sempre, trova la forza di rinnovarsi. La beccaccia è l’araba fenice grazie a cui la caccia sta risorgendo dalle proprie ceneri.
Nell’occasione del decennale di Beccacce che Passione lascio, allora, questa pagina alla voce di chi ha capito molto tempo prima che accadesse che la caccia alla beccaccia poteva assicurare e garantire un futuro all’attività venatoria. Lascio a Giorgio Lugaresi, che ringrazio per avermi sempre sostenuta, lo spazio che segue per guardare con i suoi occhi e sentire con il suo cuore l’emozione più grande che un beccacciaio si porta dentro, quella di saper leggere il “libro” della ferma del proprio compagno di caccia. Un diario in divenire, scritto stagione dopo stagione, mai noioso perché chi lo scrive, il nostro cane, è la nostra chiave per entrare nella casa della regina, che altrimenti ci sarebbe preclusa e con essa la possibilità di sbirciare dentro il bosco, una delle cornici che racchiudono una parte del magico mistero della vita sul pianeta Terra.
Viviana Bertocchi
Ogni cane ferma con espressioni diverse. Solo il cacciatore che lo porta fuori a beccacce ne può conoscere le sfumature e le differenze. Solo io so interpretare al meglio le ferme dei miei cani. Purtroppo alcuni cacciatori, e l’ho visto molte volte, non hanno nessuna chiave di lettura e si comportano sul cane in ferma sempre allo stesso modo. Molti, poi, si posizionano dietro al sedere del proprio compagno peloso in attesa che qualcosa succeda e spesso, dopo aver perso la pazienza, lo incitano a caricare. Io potrei leggere e spiegare il comportamento, l’espressione dei cani che ho avuto o che ho conosciuto meglio, ma così facendo parlerei di ricordi solo miei, senza riuscire a tradurre per tutti le pagine del “libro” della ferma. In fondo noi cacciatori godiamo solo, o perlomeno soprattutto, per ciò che fanno i nostri cani e quando sentiamo raccontare delle gesta degli ausiliari di altri la narrazione spesso non ci appassiona. A me, almeno, capita così, a meno che a parlare non sia un vero amico e quindi i suoi cani li sento anche un po’ miei.
E chi, oltre a noi, può essere interessato a “leggere” la ferma di un cane da caccia? L’animale predato naturalmente! In questo caso la regina del bosco o il re, ma ci sono anche le giovani principesse e giovani principi che, come tutti gli adolescenti, hanno chiavi di lettura diverse dagli adulti… e figuriamoci se sono reali.
La beccaccia utilizza l’immobilità per difendersi dal predatore.
Lo fa con la volpe, coi mustelidi, coi rapaci e coi cani da caccia che vanno in ferma. Se quei cani non fermassero, come gli springer o i cocker, per lei sarebbe semplice “leggere” la situazione e mettersi in ala per evitare quel rompiscatole. I fermatori sono più subdoli da capire. Alcuni si prodigano in ferme statuarie a distanze notevoli che, al contrario di ciò che molti cacciatori credono, non spaventano di meno la beccaccia, ma le lasciano “il pallino in mano” e lei se ne può andare di pedina fino a far perdere le tracce o volare via fuori tiro senza farsi neppure vedere. Altri ausiliari sono così bravi ed esperti da avere un garbo nell’andare in ferma che quasi arrivano a contatto con la nostra maliarda dagli occhi lucidi, senza farla involare. Come mai? Sembrano meno minacciosi? Si muovono più silenziosamente? Hanno la capacità di far credere alla beccaccia che non sono interessati a lei? Ho visto molte volte, in Africa, scene di predazione stupefacenti. I giovani predatori spesso rimangono a stomaco vuoto per la troppa irruenza e non riescono ad avvicinare le prede che se ne vanno ancora prima dell’inizio dell’azione di caccia. Invece, altre volte ho ammirato vecchi predatori essere così scaltri da riuscire ad avvicinare gli animali di loro interesse senza che questi mostrassero particolare preoccupazione. Stesse prede che leggono l’atteggiamento del cacciatore in modo completamente diverso. Immagino che anche le beccacce si comportino con una logica simile. Non importa se quel cane in ferma è flesso o addirittura schiacciato a terra come se volesse celarsi nella vegetazione; non è importante che possa essere là statuario, dritto sugli arti, o che sia dieci chili o quaranta; oppure che sia velocissimo nella corsa e nello scatto, o lento come una tartaruga. È come approccia la beccaccia ciò che conta. Quando poi ci capita di avere per le mani un soggetto che conclude l’azione bloccando la regina sempre sotto ai quattro metri, mi viene il dubbio che la beccaccia non lo consideri un vero predatore e quando capisce di essersi sbagliata, non le resta che rimanere schiacciata a terra e confidare nel mimetismo. In fondo le capita spesso di passare in cerca di cibo tra pecore, vacche e cavalli, anche di notte, quando i predatori sono per lo più in azione. Con le beccacce inavvicinabili per qualsiasi cane, e intendo quelle che se ne vanno molto prima che lui arrivi, mi verrebbe voglia di provare di travestire uno dei miei amici a quattro zampe da erbivoro. In Africa alcuni cacciatori indigeni, per avvicinare i branchi di bufali, si travestono da grossi uccelli e riescono ad arrivare a pochi metri dalle prede. E chissà quei bufali come “leggono” quegli strani uccelli sgraziati.
Osservando i cani da ferma questa magia al servizio dell’uomo va sempre interpretata. Ogni cane ha il suo modo di fermare a seconda delle situazioni ambientali e climatiche, ma anche lui con gli anni cambia come le stagioni e dovremo essere noi a cercare di leggere correttamente i suoi mutamenti. Io amo i cani da ferma perché da loro ho imparato tutto ciò che so sulla caccia alla beccaccia, ma ho ancora tanto da scoprire ed è per questo che ancora oggi mi emoziono a sganciare il mio ausiliare con gli occhi sinceri.
Giorgio Lugaresi