Gli adattamenti morfologici a cui è soggetto il cinghiale portano da un lato a differenze, dall’altro ad analogie con gli altri ungulati.
Diffusi in tutti i continenti, gli ungulati sono rappresentati in Italia da nove specie raggruppate nelle famiglie dei cervidi (capriolo, cervo e daino), dei bovidi (camoscio alpino e appenninico, stambecco, muflone e capra di Montecristo) e dei suidi (cinghiale) a costituire l’ordine degli Artiodattili. L’altro ordine degli ungulati è invece quello dei Perissodattili, al quale appartengono il cavallo, il rinoceronte e i tapiri, che tuttavia non risulta rappresentato da alcune specie selvatica nel nostro Paese. Gli Artiodattili possiedono un numero pari di dita, in particolare due dita centrali più grandi che poggiano sul terreno (terzo e quarto dito) e due dita laterali più corte che costituiscono gli speroni (secondo e quinto dito), mentre il primo dito è regredito. I Perissodattili presentano invece un numero dispari di dita: nel cavallo, solo uno, il terzo, poggia sul terreno, mentre gli altri sono regrediti. D’altra parte, gli ungulati sono particolarmente adattati alla corsa, probabilmente in relazione al loro ruolo di prede nell’ecosistema che ha influenzato sia le abitudini di vita sia alcuni caratteri morfologici utili per la difesa dei predatori. Rientra in quest’ottica la particolare forma della zampa che poggia sul terreno solo con le punte del terzo e del quarto dito, modificate in grossi unghioni di sostanza cornea.
Negli ungulati variano la forma degli zoccoli e la lunghezza degli speroni che, nel caso, del cinghiale sono lunghi a tal punto di restare impressi nel terreno; nelle altre specie invece questo avviene solo in presenza di terreni innevati o particolarmente soffici.
Alimentazione
La classificazione procede poi separando tra ruminanti (cervidi e bovidi) e suidi, sulla base della conformazione dell’apparato digerente e delle modalità di alimentazione e di digestione. I ruminanti, come suggerisce lo stesso nome, compiono la ruminazione, che non è altro che un processo digestivo che consente di assumere grossi quantitativi di cibo in tempi brevi grazie alla presenza di una parte dello stomaco molto grande (rumine), per poi digerirli in zone meno esposte delle aree di pascolo all’attacco dei predatori. Ciò è possibile grazie alla presenza di uno stomaco diviso in sacche ove avviene la rielaborazione del cibo ingerito: si tratta quindi di un’ottima strategia antipredatoria in quanto limita la possibilità di attacco da parte dei predatori durante la fase di alimentazione, che infatti diventa più veloce: non comporta la masticazione, svolta più tardi in un luogo tranquillo. Un erbivoro deve nutrirsi per lungo tempo: a differenza della carne, le proteine contenute nei vegetali sono molto ridotte. Pertanto deve essere in attività ogni giorno e per più ore, con tutti i rischi connessi. Grazie alla ruminazione questi animali dedicano meno tempo alla prima fase dell’alimentazione, quella più pericolosa. Per i suiformi invece questo è un problema meno rilevante: grazie alla loro mole e al loro comportamento sociale riescono facilmente a difendersi dai predatori, che preferiscono sempre le prede isolate.
Per far fronte alle sopraccitate esigenze, i ruminanti, possiedono uno stomaco quadriloculare (rumine, reticolo, omaso e abomaso) e sono conosciuti anche con il termine di poligastrici; invece i suidi, ossia il cinghiale, sono monogastrici, cioè possiedono, come l’uomo, un solo stomaco, formato da un’unica grossa sacca. Nei ruminanti il vero stomaco sarebbe in realtà costituito dall’abomaso, dove infatti avviene la digestione a opera degli enzimi secreti dalle ghiandole presenti nelle pareti dell’organo; il rumine, il reticolo e l’omaso costituiscono i prestomaci, il cibo al loro interno viene solo preparato per la digestione grazie alla scomposizione della cellulosa in acidi grassi e gas e il riassorbimento dei liquidi grazie alla presenza di una ricca flora batterica. La ruminazione è anche un processo che consiste nel richiamare gli alimenti dal rumine, ove si accumulano, alla cavità boccale ove vengono rimasticati con tranquillità distante da fonti di pericolo, rappresentate dai predatori. Si tratta di una pratica quindi che consente di ottimizzare la resa energetica del cibo di natura vegetale, scarsamente digeribile in quanto ricco di fibre: tutti i ruminanti hanno infatti un’alimentazione a base di vegetali, pur con diversa efficienza nella loro assimilazione a causa del differente apparato digerente posseduto. Di contro il cinghiale, grazie alla conformazione del suo stomaco, fa più fatica a digerire i vegetali, ma nello stesso tempo può digerire le sostanze di origine animale che invece i ruminanti non riescono a fare: proprio per questo il cinghiale, a differenza dei cervidi e dei bovidi, è un onnivoro, come lo siamo noi umani.
Dentatura
Sia l’alimentazione onnivora del cinghiale sia l’alimentazione erbivora dei ruminanti necessitano di una dentatura adeguata. Cinghiale e ruminanti possiedono denti diversi per forma e funzione (dentatura eterodonte), che si distinguono in incisivi adatti al taglio, canini adatti allo strappo, premolari e molari specializzati per la triturazione del cibo. Il cinghiale possiede una dentatura completa caratterizzata dalla presenza di tutta la serie di denti incisivi, canini, premolari e molari, sia sopra (mascella) sia sotto (mandibola). I ruminanti sono invece privi degli incisivi superiori, sostituiti da una placca callosa, e dei canini superiori, presenti solo nel cervo. Rispetto al cinghiale, sono inoltre privi del quarto molare sia nella mascella sia nella mandibola e pertanto hanno un numero di denti minore, 32 (34 nel cervo), rispetto ai 44 denti definitivi del cinghiale. A causa della mancanza dei denti, sia la mascella sia la mandibola dei ruminanti sono caratterizzate dalla presenza di un ampio spazio, detto diastema, tra l’ultimo incisivo, o il canino: manca invece nel cinghiale. Sia i ruminanti sia i suidi sono provvisti di due dentizioni: una da latte o transitoria, che interessa gli incisivi, i canini e i premolari, ma non i molari, e una permanente o definitiva. Il passaggio dalla dentatura da latte a quella definitiva avviene in tempi diversi a seconda della specie – un anno circa nel capriolo, due anni circa nel cervo e nel daino, tre anni nel cinghiale, a quattro anni circa nel camoscio e nel muflone. Successivamente la valutazione dell’età si effettua sulla base del grado di consumo dei denti.
Dopo l’eruzione, il dente a completo è composto da una corona sporgente dalle gengive, ove la dentina risulta ricoperta dallo smalto, da una radice infissa nell’alveolo, la cui dentina è coperta dal cemento, e da una zona di transizione tra radice e corona, il colletto. I denti sono a crescita definita, crescono cioè fino a raggiungere una certa dimensione, caratteristica di ogni specie, a eccezione dei due canini superiori e dei due inferiori del cinghiale che invece hanno crescita continua, cioè continuano a crescere per tutta la vita. I canini, posseduti sia dai maschi sia, di dimensioni inferiori, dalle femmine, sono conosciuti anche con i termini di difese, quelli inferiori, e di coti, quelli superiori. Per il continuo sfregarsi fra di loro, superiore contro inferiore, durante la masticazione, i denti canini del cinghiale presentano le superfici di contatto levigatissime e i bordi ben affilati: sono denti molto versatili e rappresentano un formidabile mezzo di scavo (quando vuole cibarsi di tuberi, radici, insetti e larve che trova sottoterra) e una terribile arma di difesa contro i suoi nemici (cane, lupo, lince e orso), e pure di offesa contro gli altri maschi nella lotta per le femmine. Nei ruminanti invece i canini hanno perduto la loro funzione a tal punto da scomparire nella mascella di tutte le specie, a esclusione del cervo. Rispetto ai cervidi antichi e ad alcune specie ancora presenti in Asia, questo dente è fortemente regredito anche in dimensioni.
La parte esposta dei premolari e molari, ossia la corona, risulta diversamente modulata in adattamento ai diversi regimi alimentari: se nella corona le cuspidi, protuberanze sporgenti sulle superfici del dente che svolgono un ruolo nella demolizione del cibo, (o tubercoli) sono isolate e tondeggianti, i denti si dicono bunodonti, come nel cinghiale; mentre se la corona è bassa e le cuspidi sono lunghe e a forma di mezzaluna si tratta di denti selenodonti, tipici di tutti i ruminanti.
E la struttura che ne deriva
La particolare conformazione della testa e del muso del cinghiale è funzionale al suo particolare comportamento alimentare, caratterizzato dal continuo scavare (rooting) alla ricerca del cibo: tale attività viene svolta grazie alla presenza di una testa forte e robusta che termina in un grugno, o grifo, cartilagineo poggiante su un disco muscolare, che assicura grande mobilità e precisione. Il grugno nel cinghiale, ma anche nel maiale, è assicurato al muso grazie a un osso prenasale assai allungato, detto osso fognaiuolo. Nei ruminanti invece la testa è più esile in ragione anche delle diverse abitudini alimentari possedute, prettamente erbivore: nei cervidi la testa del maschio porta il palco o trofeo che si accresce annualmente ogni volta che viene cambiato, mentre nei bovidi, a esclusione di alcune popolazioni di muflone, le corna hanno crescita continua e sono portate da entrambi i sessi.
Tra i suidi e i ruminanti vi sono inoltre sostanziali differenze della struttura del corpo: quello del cinghiale risulta robusto e caratterizzato dallo spostamento del peso sull’avantreno, con una testa pari a un terzo della lunghezza del corpo intero, mentre le zampe sono corte. Questa struttura lo rende molto adatto al movimento tra la vegetazione fitta e intricata. Di contro i ruminanti possiedono corpo più esile (più robusto quello dei bovidi) in relazione al loro habitat e alle abitudini di vita possedute: il capriolo possiede la struttura fisica tipica dei ruminanti il cui habitat è costituito in prevalenza da boscaglie e zone cespugliose, con parti posteriori più alte e robuste e palchi piccoli e rivolti all’indietro quale adattamento al salto. Rispetto al cinghiale, gli arti dei ruminanti sono sottili e molto lunghi in proporzione al corpo, caratteristica più marcata nei cervidi che nei bovidi. Presentano inoltre la fusione delle ossa metapodiali in un unico osso, chiamato osso cannone, che aumenta la resistenza dell’arto alle sollecitazioni della corsa e risulta molto utile per la sopravvivenza dell’animale.