Facciamo brevemente il punto su una tra le specie di anatidi più diffuse e cacciate in Europa: il germano reale.
La caccia agli uccelli acquatici e, soprattutto, alle anatre delle varie specie, è da sempre e rimane tutt’oggi una delle specializzazioni venatorie su avifauna più diffuse e più amate su scala continentale. Sarà per l’affascinante e struggente bellezza delle zone umide, per l’eleganza e le particolarità di animali volanti con piume perfettamente adattati alla vita nell’acqua o, ancora, per l’elevato e sfidante livello di specializzazione richiesto agli appassionati.
Fatto sta che i praticanti queste cacce sono praticamente dappertutto, in ogni Paese europeo che si trovi o meno nell’Unione. Sono disposti a sopportare dai famelici sciami di zanzare d’inizio stagione, fino ai rigori del gelido inverno per non mancare all’appuntamento con un volo di anatre in planata sul gioco. Perché l’attività venatoria è innanzitutto passione e poi gestione, di certo non è uno sport e nemmeno un qualsiasi passatempo, questo sia chiaro. Ma andiamo oltre.
Nove specie cacciabili in Italia
In Italia, le specie di anatidi cacciabili sono in tutto nove, di cui sette appartenenti al drappello delle anatre di superficie e solo due a quello, ben più sparuto, delle anatre tuffatrici. Le prime sette sono germano reale, alzavola, fischione, canapiglia, mestolone, codone e marzaiola; le seconde, invece, sono moriglione e moretta.
Sarebbe in verità corretto precisare che tali specie sono cacciabili per la legge statale (157/92 articolo 18), ma che poi, nella pratica dei calendari venatori regionali annuali, sono spesso soggette a sospensione del prelievo, vuoi per scelta delle Regioni, vuoi per imposizione della giustizia amministrativa (Tar e Consiglio di Stato), a seguito di ricorsi promossi dall’arcipelago ambientalista-abolizionista sulla base dei pareri Ispra.
La sorte della sospensione della caccia – nonostante le specie rimangano nell’elenco di quelle cacciabili su base nazionale – è stata sostanzialmente seguita dalle due anatre tuffatrici, a fasi alterne ma comunque da un po’ di anni in qua, per quanto non in tutte le regioni.
Oggi il moriglione ha un piano di gestione nazionale, pertanto, in sua attuazione, non dovrebbe ripresentarsi il rischio della sospensione del prelievo. Per quanto riguarda la moretta, nel 2023 si è riaperta la possibilità della non sospensione del prelievo venatorio, a condizione che le amministrazioni regionali (unicamente quelle del nord d’Italia) prevedessero e attuassero una serie di misure gestionali, dieci in tutto, secondo quanto Ispra ha indicato in sede di pareri alle proposte di calendari.
Bene, ma non va abbassata la guardia
Vogliamo, però, soffermarci su germano reale (Anas platyrhynchos) e alzavola (Anas crecca), senza dubbio due anatidi non problematici dal punto di vista della conservazione e dei loro trend demografici, stabili o al rialzo. Entrambi classificati dall’Iucn come Lc (least concern, ossia “a minor preoccupazione”). Sono oggetto di caccia in ogni Paese nel quale esista una tradizione venatoria rivolta all’avifauna acquatica. Sono rispettivamente la più grande e la più piccola delle anatre selvatiche della regione Paleartica occidentale, cacciabili in Italia.
Tutto bene dunque? No. In questa sede intendiamo scientemente tralasciare le diatribe giudiziarie cui, da troppi anni ormai, assistiamo nelle aule dei Tar e del consiglio di Stato sui periodi di apertura e di chiusura della caccia, che coinvolgono anche questi due anatidi. Si tratta ormai di un’estenuante rappresentazione di “accanimento terapeutico” da parte degli abolizionisti/animalisti e, dall’altro, di pilatesco tirarsi fuori dei tribunali amministrativi all’insegna del principio di precauzione.
Affrancandoci il più possibile dalle miserevoli vicende nostrane, diamo invece un’occhiata ai contenuti dell’interessante e ponderoso volume dell’Ompo “Conservazione e gestione degli uccelli cacciabili in Europa”. Tra le parti più complete di tale pubblicazione annoveriamo i dati di popolazione e le considerazioni sui possibili fattori di rischio cui, naturalmente, non sfuggono nemmeno le specie più abbondanti e ubiquitarie, secondo il nostro principio di non abbassare la guardia anche quando non sussistano motivi di preoccupazione come, invece, per quegli uccelli in stato di conservazione non favorevole o addirittura in pericolo.
Germano reale: amplissima diffusione come nidificante
Certamente, se parliamo del germano reale, la sua rusticità è ben nota ed è la caratteristica che ne favorisce l’amplissima diffusione come nidificante: in pratica, la specie occupa l’intera fascia alle medie latitudini del Paleartico, dall’Atlantico al Pacifico, dall’Artico all’Africa settentrionale (con le prime colonizzazioni della zona afro-tropicale già segnalate da Cramp & Simmons nel 1977).
Oggi, anche a causa del cambiamento climatico in atto, esistono piccole popolazioni che svernano a latitudini settentrionali, come in Finlandia e in certe aree della Russia, soprattutto nei pressi di San Pietroburgo e Mosca. Tuttavia, la larga maggioranza dei soggetti nordici è spiccatamente migratrice, mentre le popolazioni dell’Europa centrale e meridionale sono ormai totalmente sedentarie, limitandosi a spostamenti a corto raggio solo ove sollecitate da condizioni invernali particolarmente avverse.
Recentemente, un primo processo di sedentarizzazione, probabilmente a seguito dei mutamenti climatici, è stato osservato anche in piccoli contingenti di alzavole svernanti nel sud della Svezia. Tuttavia questa specie mantiene intatto il proprio status essenziale di migratrice, secondo corridoi di migrazione continentali ben definiti e indagati da anni.
Criticità e minacce
Secondo Wetlands International (dati 2021), le popolazioni di germano reale svernanti in Europa sono stimate dentro una forbice da 7,1 a 10,1 milioni di soggetti, manifestando una sostanziale stabilità. Buoni anche i dati relativi all’alzavola. Insomma, siamo di fronte a due anatidi che tutto sembrano fuorché in cattiva salute. Ciò certamente non significa che siano esenti da pressioni e minacce, come qualsiasi altra specie selvatica.
Per esempio, un forte processo di eutrofizzazione delle acque, entro determinati limiti sopportato dagli uccelli acquatici e soprattutto dal germano, inducendo un incremento del fitoplancton, della torbidità delle acque e dei pesci erbivori appartenenti ai ciprinidi come carpe, temoli russi e amur, riduce parallelamente la disponibilità di vegetazione immersa e degli invertebrati collegati a essa, con l’esito di ridurre le fonti trofiche per le anatre fitofaghe (cioè che si alimentano di sostanze erbacee). In questi casi, gli uccelli sono sollecitati ad abbandonare determinati siti riproduttivi.
Un altro impatto, particolarmente significativo nel periodo della nidificazione, è dato dalla predazione sulle uova e i pulcini esercitato da mammiferi invasivi alloctoni in Europa, molto efficaci e attivi nella distruzione delle covate: al proposito, le due specie maggiormente impattanti su tutte le specie di avifauna delle zone umide nidificanti al suolo, tra cui appunto gli anatidi, sono il visone americano (Neovison vison) e il cane procione (Nyctereutes procyonoides), i cui effetti nefasti sono già studiati da qualche anno in Paesi nordici come le Repubbliche baltiche.
Per il germano reale l’insidia dei ripopolamenti
Per il germano reale, però, si stanno indagando gli effetti anche di un altro tipo di impatto sulle popolazioni selvatiche, ossia il rilascio in natura, a scopo di ripopolamento venatorio, di numeri a volte molto importanti di soggetti nati in cattività. L’attività è nota e diffusa soprattutto in alcuni Paesi ed è dimostrato che gli individui immessi si possono accoppiare con quelli di origine selvatica, inquinandone il prezioso patrimonio genetico.
Ne scaturiscono controversie dal punto di vista scientifico, anche perché l’immissione di germani d’allevamento può comportare l’introduzione in natura di agenti patogeni che possono colpire i contingenti selvatici, oltre al fatto che gli animali rilasciati diffondono anche la resistenza agli antibiotici utilizzati negli allevamenti.
Per contro, queste immissioni presentano pure aspetti positivi, che nell’ambito di un approccio complessivo non si devono trascurare: uno è il fatto che molti cacciatori si accontentano di questo genere di selvaggina, più facile, riducendo la pressione venatoria sulle specie selvatiche; un altro è il beneficio economico di questa gestione venatoria che deriva ai proprietari dei fondi e ai loro concessionari/gestori, che a tal fine mantengono o migliorano habitat umidi, con indubbi vantaggi per tutte le specie animali che li frequentano in ogni periodo dell’anno.
Mutamenti climatici: pro e contro
Infine, va da sé che i mutamenti climatici, se da un lato favoriscono il tasso di sopravvivenza invernale delle popolazioni grazie al progressivo innalzamento delle temperature medie, dall’altro possono incidere più o meno pesantemente su di esse. Ciò accade soprattutto nell’epoca primaverile-estiva, nella quale stiamo assistendo sempre più spesso ad avvenimenti meteo eccezionali, come siccità prolungate che poi si interrompono con eventi alluvionali, l’uno e l’altro negativi per l’esito riproduttivo. È ovvio come gli uccelli d’acqua, legati alle zone umide, siano in pole position rispetto a questi impatti, ciò che non avviene (o molto meno) per le specie terrestri.
Insomma, la grande complessità della natura richiede di essere costantemente studiata e ci sollecita a non semplificare, semmai a introdurre un numero crescente di fattori e di variabili che sortiscano analisi il più possibile complete e non scioccamente riduttive o trionfalmente positive. Il lavoro continua e i cacciatori, fra i principali attori del territorio rurale, non possono permettersi di rimanerne esclusi.
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