Per la Corte d’Appello di Trieste anche dopo la riforma Cartabia i bracconieri restano perseguibili d’ufficio.
Più che alle cose esposte alla pubblica fede la fauna selvatica è analoga «alle cose di pubblica utilità, considerati i benefici che produce, racchiusi nel concetto di servizi ecosistemici»: era l’argomentazione portata in giudizio da Wwf e Legambiente, che fanno sapere che la seconda sezione penale della Corte d’Appello di Trieste (sentenza 360/24) l’ha accolta stabilendo che anche dopo la riforma del processo penale firmata dall’allora ministra Marta Cartabia i bracconieri restano perseguibili d’ufficio, e non in seguito a querela.
Il Wwf fa notare che in caso contrario sarebbe sorto «un assurdo giuridico»: la selvaggina è infatti patrimonio dello Stato; e dunque lo Stato, non si sa rappresentato da chi, avrebbe dovuto presentare una querela per denunciare a sé stesso il furto ai danni del proprio patrimonio.
In una nota congiunta Wwf e Legambiente confidano che «anche la Cassazione esprima lo stesso orientamento»; dev’essere un auspicio condiviso anche dai cacciatori, che in ogni occasione pubblica e con i comportamenti privati devono ribadire che con i bracconieri (con i ladri) non vogliono avere a che fare.
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