Lorenzo Bertacchi, presidente della Federcaccia Lombardia, critica la sentenza del Tar sul divieto di caccia intorno ai valichi montani.
«È tanto inattesa quanto stupefacente», e riesce nell’impresa di vietare la caccia di selezione al cinghiale, l’unica possibile nei prossimi cinque mesi, in un’area di circa 6.000 ettari: è uno dei motivi per cui Lorenzo Bertacchi, presidente della Federcaccia regionale, contesta la decisione con cui il Tar ha annullato la delibera che aveva identificato i valichi montani interessati dalle rotte migratorie in Lombardia e nominato un commissario che disponga il divieto di caccia nel raggio d’un chilometro da tutti e quarantadue.
L’altro punto critico sta a monte. Decidere che sul divieto di caccia le Regioni non hanno discrezionalità, e che tutti i valichi montani sono di per sé interdetti, per Bertacchi genera infatti «un nonsenso»: chi stabilisce concretamente che cosa sia un valico e che cosa no? E chi verifica se sia interessato dalle rotte di migrazione oppure no?
Per una modifica della 157/92
Bertacchi segnala inoltre che l’Ispra, il cui direttore generale ha ricevuto l’incarico di commissario, «alla richiesta della Regione ha risposto di non avere a disposizione i dati per poter individuare i valichi interessati dalle rotte di migrazione»; stando così le cose, la Federcaccia sarebbe «molto più tranquilla» se sull’Ispra la politica esercitasse i propri poteri d’indirizzo.
Nel proprio impianto la sentenza conferma «che chi decide le sorti delle attività rurali e si pone come obiettivo la tutela della fauna e dell’ambiente nulla sa né degli uni né degli altri, ed è certamente privo di senso pratico»; la Federcaccia confida dunque che la politica regionale s’attivi al più presto, eventualmente intervenendo in Conferenza Stato-Regioni per sollecitare (non però nella direzione ipotizzata dal Movimento 5 Stelle, che vuole raddoppiare l’area sottoposta a divieto di caccia intorno ai valichi montani) una modifica della legge 157/92.
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