La Cassazione si è espressa sul ricorso di quattro cittadini di Palermo, puniti dal gip perché usavano richiami acustici con amplificazione del suono durante l’addestramento cani.
L’addestramento cani non configura di per sé atteggiamento di caccia. Pertanto a chi sta soltanto addestrando i cani non si può imputare la violazione della legge sulla caccia. È chiara la sentenza della terza sezione penale della Cassazione, che ha accolto il ricorso di quattro cittadini di Palermo contro la decisione del gip. Le motivazioni sono state depositate negli scorsi giorni, anche se la camera di consiglio risale a fine febbraio.
Il gip aveva punito i tre per l’uso di “richiami acustici a funzionamento meccanico, elettromagnetico o elettromeccanico, con amplificazione del suono”, mentre addestravano i loro cani. Ossia: è stata loro contestata la violazione dell’articolo 21 della legge quadro sulla caccia. Che alla lettera r) prevede il divieto di “usare a fini di richiamo uccelli vivi accecati o mutilati ovvero legati per le ali e richiami acustici a funzionamento meccanico, elettromagnetico o elettromeccanico, con o senza amplificazione del suono”.
L’addestramento cani può non rientrare nell’atteggiamento di caccia
Ma la legge si può applicare solo a chi si trova in atteggiamento di caccia. E non esiste atteggiamento di caccia in assenza di mezzi idonei “all’abbattimento o alla cattura della selvaggina”. È vero che la definizione “atteggiamento di caccia” è ampia. E ricomprende, ribadisce la Cassazione, “ogni attività prodromica o preliminare e comunque ogni atto […] che appaia diretto a tal fine”. Ma non può esser fatta risalire “al momento del presumibile addestramento dei cani da caccia”.