Caccia in deroga: Consiglio di Stato dà torto all’Ispra

Caccia in deroga: Consiglio di Stato dà torto all'Ispra - storno (Sturnus vulgaris, storno comune)
© Nick Pecker / shutterstock

L’Ispra non può rifiutarsi di determinare le piccole quantità prelevabili nel regime di caccia in deroga, altrimenti paralizza tutta la procedura.

A meno che non sia effettivamente impossibile, e allora deve dirlo chiaramente riferendosi ai criteri contenuti nella Guida europea alla disciplina della caccia, l’Ispra non può rifiutarsi di definire le piccole quantità prelevabili che consentono alle Regioni d’attivare la caccia in deroga.

Lo ha deciso il Consiglio di Stato (sentenza 982/2024) accogliendo il ricorso della Regione Liguria e chiudendo una controversia che andava avanti da quasi sette anni. Il Tar non aveva colto la portata esatta della questione: a differenza del parere negativo che non vincola le Regioni, autorizzate a scostarsene in presenza di ragioni adeguate, l’omessa definizione delle piccole quantità (su base nazionale, poi ripartite localmente) interrompe tutta la procedura amministrativa, «paralizzandola impropriamente».

E sono illogiche le ragioni con cui l’Ispra aveva motivato il proprio rifiuto: non è vero che non si possono definire le piccole quantità prelevabili per le specie «appartenenti all’ordine dei passeriformi, in particolare migratrici» (la Liguria intendeva infatti autorizzare la caccia in deroga a storno, fringuello, frosone e tordela); e non si capisce che ostacolo sia il rischio d’una procedura d’infrazione europea.

È un successo anche per le associazioni venatorie intervenute nel giudizio (Federcaccia, Anuu migratoristi, Libera Caccia, Enalcaccia), che avevano rilevato che «l’atteggiamento dell’Ispra è reiterato e sistematico», e contrasta con un preciso obbligo di legge.

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