La tassidermia è attività strettamente connessa alla caccia, in quanto consente di rendere duraturi e piacevoli alla vista i frutti dell’azione venatoria. Davide Pasquali, esperto tassidermista piemontese, racconta ciò che accade dietro le quinte.
L’occasione per comprendere e approfondire a tutto tondo l’arte della tassidermia ci giunge da una visita al laboratorio di Davide Pasquali, situato a Casalborgone (To) fra le colline che circondano l’area torinese.
Tassidermista con esperienza ultradecennale e misuratore ufficiale Cic e Sci, Davide, che ho intervistato nel suo laboratorio davanti a un buon caffè, mi ha illustrato alcuni aspetti interessanti della sua attività.
Tassidermia: professione e passione
Da quanti anni fai questo lavoro e come hai cominciato? «In realtà ho avuto questa passione fin da bambino, ispirato anche da alcuni parenti cacciatori sul Carso friulano e dai tassidermisti cui si affidavano. Il desiderio di studiare e conservare gli animali, riprodurre le loro fattezze da autodidatta e ovviamente con materiali e metodi non professionali è quindi nato prestissimo. Poi, come cliente di un professionista del settore, ho iniziato a conoscere meglio alcuni aspetti più tecnici, fino ad aprire la mia ditta oltre quindici anni fa».
Ci sono giovani interessati a intraprendere questa professione? «Sicuramente sì, probabilmente affascinati dal “prodotto finito”. Molti meno, però, sono quelli disposti a fare la gavetta, affrontando per diversi anni gli aspetti oggettivamente meno piacevoli del lavoro, quelli che comportano il primo contatto con esemplari che magari arrivano in laboratorio in condizioni precarie. Diciamo che a molti manca fondamentalmente la pazienza sul lungo periodo. Eppure si tratta di un passaggio obbligato, quello che permette a coloro che decidono di proseguire di avere una conoscenza pratica e concreta dei soggetti su cui si opera; necessaria, ad esempio, a riprodurre perfettamente le fattezze dell’animale».
Tecniche in evoluzione
L’evoluzione della tecnica e dei materiali è stata determinante negli ultimi decenni? «Per quanto riguarda i macchinari direi di no. Gli strumenti tecnici e i metodi di utilizzo sono ancora quelli tradizionali, tanto che, in tanti casi, le macchine (quelle per ripulire e conciare le pelli ad esempio) sono storiche ed è difficile trovarne di nuova costruzione e addirittura più arduo reperire i ricambi. Ciò che ha avuto invece un’evoluzione impressionante sono i modelli che oggi si utilizzano per montare le pelli. Ormai vi sono sagome create usando gli scanner che riproducono con massima precisione le forme dell’animale. Un progresso enorme rispetto alle preparazioni di un tempo in gesso o in paglia e filo di ferro».
Suppongo che i cacciatori costituiscano una buona percentuale dei tuoi clienti. Ricevi richieste anche da altri? «Un’altra parte importante della clientela è costituita da musei, Parchi o dalle esposizioni pubbliche e private di esemplari o trofei. Recentemente ho avuto una collaborazione con il Museo di scienze naturali di Torino per il restauro della collezione storica. Inoltre, ci sono richieste anche da parte di privati che hanno acquistato o ricevuto da familiari alcune preparazioni e desiderano conservarle al meglio oppure restaurarle per avere un ricordo duraturo. Può anche capitare di essere contattati da artisti che chiedono collaborazione principalmente per installazioni e sculture».
Accortezze da rispettare
Quali sono le principali accortezze che un cacciatore deve rispettare per ottenere un buon risultato quando decide di far preparare un animale? «Sicuramente le maggiori criticità coinvolgono gli esemplari da naturalizzare in pelle, quindi il 90% dei problemi è dato da un errato o trascurato trattamento della pelle, già a partire dal momento in cui essa viene prelevata. Raccomando innanzitutto, anche se può apparire un consiglio banale, di utilizzare coltelli affilati. Una pelle che presenta tagli o lacerazioni diffuse è di per sé difficile da utilizzare e necessita di interventi di riparazione. Fondamentale è poi procedere alla spellatura a partire dal dorso (nuca) dell’animale e non dal lato ventrale. Infine, è sempre meglio abbondare sulla quantità della pelle prelevata, in quanto il tassidermista avrà poi modo di lavorare meglio senza dover procedere ad allungamenti artificiosi. Il rispetto dell’animale abbattuto, in fondo, si veda anche da questi particolari».
Il vantaggio di essere cacciatore
Ritieni che il fatto di essere cacciatore sia stato per te un plus in più nella conoscenza delle pose e degli atteggiamenti dei selvatici? «Certamente. L’osservazione del selvatico prima, durante e dopo l’azione di caccia inevitabilmente consente di acquisire una conoscenza approfondita anche a colpo d’occhio delle sue posture e dei suoi atteggiamenti. Particolari che magari sfuggirebbero anche in una bella fotografia. Osservare una beccaccia in volo, il movimento delle orecchie di un capriolo in pastura o un cinghiale in corsa aiuta molto nel momento in si deve immaginare e proporre al cliente una preparazione il più possibile naturale dell’animale».
Qual è il tuo maggior timore quando stai per aprire una cassa di trofei che arriva da un altro Paese? «Senza dubbio il non corretto trattamento delle pelli e una loro cattiva conservazione. In questi casi è difficile far comprendere al cliente che la preparazione sarà di qualità non ottimale o che addirittura non si può fare a causa del cattivo stato dei materiali spediti. A questo proposito vorrei sfatare la leggenda popolare secondo cui l’eventuale deterioramento delle pelli deriverebbe dalle alte temperature. In realtà tutto dipende invece dall’esperienza e dall’attenzione di colui che effettua la prima preparazione. Accade, infatti, di ricevere pelli perfettamente conservate provenienti dall’Africa equatoriale o comunque da Paesi caldi, e altre molto deteriorate che arrivano dalle latitudini più fredde».
Consigli pratici
Puoi fornire ai nostri lettori alcuni consigli pratici per la conservazione casalinga dei loro esemplari? «Per quanto riguarda gli uccelli, consiglio categoricamente la conservazione sotto una teca. Penne e piume sono molto sensibili all’attacco di acari, tarme e parassiti vari. Sono quindi preparazioni che, senza una adeguata protezione, sono destinate a deteriorarsi irrimediabilmente nel tempo. Per le naturalizzazioni in pelle, è opportuno, oltre a una rimozione frequente della polvere, somministrare prodotti antitarme e antiacaro sotto forma di spray almeno annualmente; meglio ogni sei mesi. Paradossalmente, i trofei in bianco sono quelli per i quali è più difficile intervenire qualora si presentino problemi di ingiallimento dovuti all’emersione di sostanze grasse. Molti tentano di ovviare con bagni di perossido di idrogeno (acqua ossigenata) o addirittura di soda caustica. È un grosso errore, perché il ripetuto contatto con queste sostanze, che oltretutto spesso continuano ad agire nel tempo, comporta alla lunga la corrosione e lo sbriciolamento del trofeo. Molto meglio, a mio parere, rassegnarsi al lieve mutamento di colore dato dal tempo».
Difficoltà particolari
Potresti menzionare preparazioni che ti hanno impegnato in modo particolare, per dimensioni e difficoltà? «Recentemente ho preparato due grandi alci della Kamchatka naturalizzati interi in posa di combattimento per un cliente cacciatore. Ho anche realizzato, in collaborazione con il collega Piergiorgio Prevot, un toro di razza chianina dalle dimensioni veramente impressionanti (tre metri di lunghezza per quasi due al garrese), commissionato dal Museo dell’Università di Tokyo. Inoltre ci sono i felini, soprattutto i grossi “gatti” africani, che in linea generale sono i più difficili da realizzare in atteggiamenti ed espressioni naturali; in questi casi è quindi importante uno studio e una conoscenza davvero dettagliata del singolo esemplare».
Ricordi qualche aneddoto o curiosità che riguarda la tua professione? «Diversi anni fa, quando mio figlio era poco più che ragazzino, ho voluto provare a organizzare un incontro nel mio laboratorio coinvolgendo la sua classe. Inizialmente ho trovato molte resistenze da parte degli altri genitori, evidentemente dovute a un pregiudizio immotivato nei confronti della caccia. Tuttavia, anche con l’aiuto dell’insegnante, persona equilibrata e curiosa, sono riuscito a realizzare l’iniziativa e a far passare una corretta cultura della caccia e della gestione faunistica. Il risultato è stato un enorme entusiasmo da parte dei bambini e, cosa forse ancora più sorprendente, un forte apprezzamento da parte degli insegnanti».
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