Trovare un trofeo o animali feriti oppure morti non è un’ipotesi remota per il cacciatore. È molto importante sapere che cosa fare in questi casi dal punto di vista pratico e conoscere gli aspetti normativi necessari a evitare contestazioni o sanzioni.
Il cacciatore, nella sua qualità di gestore delle risorse faunistiche, è assiduamente impegnato sul campo anche al di fuori della stagione venatoria. E ha sicuramente più di altri la possibilità di imbattersi in un trofeo o in esemplari di fauna selvatica morti o in difficoltà. Se tralasciamo il caso in cui l’animale defedato rientri nel piano di abbattimento, risulta interessante dal punto di vista giuridico ma anche pratico sapere come sia opportuno comportarsi negli altri casi.
Per quanto riguarda il caso di animali vivi in difficoltà l’articolo 4 comma 6 della legge 157/1992 prevede la competenza delle Regioni in ordine a soccorso, detenzione temporanea e successiva liberazione di fauna selvatica in difficoltà. Questo sia che gli animali siano appartenenti o meno alla fauna selvatica cacciabile. Le relative funzioni vengono demandate agli enti territoriali locali (Province, Città metropolitane, Comuni) in ordine all’effettivo esercizio di tali competenze.
I centri di recupero degli animali selvatici
Di fatto, numerosi enti locali hanno favorito la costituzione dei centri di recupero degli animali selvatici (Cras) anche in collaborazione con le associazioni venatorie. Un esempio recente è la legge regionale del Piemonte numero 5 del 19 giugno 2018. All’articolo 19 ne prevede espressamente la costituzione, oltre al riconoscimento di quelli già esistenti. Pertanto, in caso di esemplari rinvenuti vivi, viene espressamente prevista la destinazione dell’animale al Cras di competenza, previa segnalazione alla Regione, per le cure del caso e l’eventuale reintroduzione in natura.
Numerose altre Regioni hanno emanato discipline analoghe, integrandole con eventuali ulteriori prescrizioni. Ad esempio, a Regione Lombardia prevede espressamente la possibilità di abbattimento da parte di personale di vigilanza abilitato in caso di selvatico palesemente non recuperabile. E il tutto è finalizzato a un controllo anche sanitario degli animali ritrovati, al recupero degli stessi quando possibile, ossia allo smaltimento delle carcasse.
Pertanto, il cacciatore che, anche nell’esercizio dell’attività venatoria, effettui il ritrovamento di un animale vivo in difficoltà dovrà rivolgersi alle autorità competenti al fine di avviare l’iter amministrativo sopra descritto. È invece del tutto precluso l’impossessamento da parte del privato dell’esemplare rinvenuto, anche se condotto in buona fede e al fine di una eventuale successiva liberazione. Ciò, infatti, è in contrasto con le norme sopra elencate e con la normativa anche nazionale in materia di allevamento e possesso della fauna.
Posso tenerlo? Sì, ma a certe condizioni
Più complesso, ma anche di gran lunga più frequente, è il caso di ritrovamento di fauna selvatica morta o di parti di essa. Tale eventualità non è espressamente disciplinata dalla normativa nazionale, se non laddove l’articolo 6 comma 1 della legge 157/1992 demanda alle Regioni la disciplina, oltre che dell’attività di tassidermia, anche della detenzione e del possesso delle preparazioni tassidermiche e dei trofei.
Anche in tale contesto, pertanto, è frequentemente intervenuta la normativa locale. Prendendo nuovamente spunto dalla legge numero 5/2018 della Regione Piemonte, essa prevede che chiunque venga in possesso di fauna selvatica morta o di parti di essa (anche in questo caso senza alcuna distinzione tra specie cacciabili e protette) debba darne tempestiva comunicazione al Comune di residenza o a quello in cui è avvenuto il ritrovamento. Sarà poi l’ente pubblico a assegnare l’esemplare a una destinazione di pubblica utilità, ossia disporre la destinazione o lo smaltimento della carcassa.
In affidamento
Accade di frequente che, qualora non si tratti di animali di particolare interesse scientifico, la destinazione di pubblica utilità possa consistere anche nell’affidamento al cittadino che abbia effettuato il ritrovamento e che ne faccia richiesta. In tal caso, è configurabile la possibilità che l’esemplare venga preparato da un tassidermista abilitato e successivamente adeguatamente custodito presso il domicilio. Le spese sono a carico del cittadino richiedente.
Qualora si verifichi tale eventualità, tuttavia è bene precisare che l’esemplare in oggetto non diviene in alcun modo di proprietà del soggetto privato, bensì rimane patrimonio dell’amministrazione titolare che ha piena facoltà, in qualsiasi momento, di rientrarne in possesso e acquisirlo per gli scopi ritenuti più opportuni. Per tale motivo, tra l’altro, il tassidermista incaricato dell’eventuale preparazione è tenuto ad apporvi un contrassegno regionale numerato, che individui univocamente la carcassa rendendola riconoscibile. Tale normativa è del tutto coerente con il principio secondo cui la fauna selvatica costituisce patrimonio indisponibile dello Stato (articolo 1 legge 157/1992).
Da ciò discende che l’unica modalità concessa ai soggetti privati (purché muniti delle autorizzazioni di legge) per acquisire il possesso e la proprietà di singoli animali è l’abbattimento. Ovviamente parliamo di abbattimento effettuato nei modi e nei tempi previsti dalla normativa nazionale e regionale. Ogni altra modalità in cui si ottenga la detenzione di fauna, cacciabile o protetta, non ne elimina lo status di patrimonio pubblico.
Legittima provenienza
Coerentemente, l’articolo 21 comma 1 lettere ee) della legge 157 vieta espressamente la detenzione di fauna selvatica non legittimamente abbattuta. È assolutamente opportuno, quindi, evitare condotte che possano condurre a un indebito impossessamento senza contestuale informativa all’amministrazione competente. È anche importante sapere che il relativo onere probatorio rimane a carico del privato.
Come confermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza numero 6557/2016, è possibile per il detentore di un esemplare di fauna selvatica dimostrarne la provenienza non illegittima, con conseguente esclusione di sua responsabilità penale. L’onere della prova incombe però su di lui e non sull’accusa, posto che la regola generale stabilità dall’articolo 21 comma primo lett. ee) legge 157/1992 è quella del divieto di detenzione di esemplari di fauna selvatica.
Qualora l’oggetto del ritrovamento o di cessione possa poi essere ricondotto alla fauna minacciata di estinzione e tutelata dalle convenzioni internazionali, dovrà essere fatto riferimento a esse anche dal punto di vista sanzionatorio. Si ricordi, in particolare, la Convenzione di Washington del 3 marzo 1973 – Cites – recepita anche dall’Italia.
Trofeo e reperti similari
Il dubbio che quasi quotidianamente può sorgere riguarda tuttavia il semplice ritrovamento o acquisto di trofei (palchi caduchi o crani) riconducibili a fauna cacciabile.
In ordine all’acquisto (in ambito di fiere, esercizi commerciali o tra privati) è comunque sempre opportuno conservare idonea documentazione relativa alla cessione. Questa, infatti, consente, in caso di accertamento, la verifica della legittima proprietà in capo al precedente proprietario, eventualmente derivante da allevamento o abbattimento autorizzato.
Per quanto riguarda invece i frequentissimi ritrovamenti di trofei in natura è sempre consigliabile effettuare la comunicazione all’amministrazione competente in conformità alla normativa locale. Peraltro vi sono alcune interpretazioni giuridiche che ricondurrebbero il trofeo, a maggior ragione se risalente nel tempo, a oggetto abbandonato. Questo ai sensi dell’articolo 923 del codice civile, di cui sarebbe consentita la semplice acquisizione da parte del privato senza ulteriori formalità.
È evidente, tuttavia, che la qualificazione giuridica di tale fattispecie non possa non essere demandata alla valutazione della singola autorità giudiziaria o amministrativa. Ed è suo compito, di volta in volta, procedere al relativo accertamento in caso di contestazione e conseguente giudizio.
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