In occasione della Giornata mondiale dell’acqua la Federcaccia ricorda a quanto ammonti il contributo dei cacciatori nel ripristino e nella conservazione delle zone umide.
Negli ultimi anni tra valli di caccia e appostamenti fissi su laghi artificiali i cacciatori hanno ripristinato o conservano 24.384 ettari di zone umide, spalmate essenzialmente su quattro regioni: lo ricorda la Federcaccia, che ha indagato la questione insieme all’Acma, in occasione della Giornata mondiale dell’acqua.
Se gestite dai cacciatori, le zone umide rappresentano più facilmente «una rete d’ecosistemi funzionali alla sosta, all’alimentazione e alla riproduzione di migliaia d’uccelli acquatici e una risorsa idrica per varie specie animali»; la loro presenza è utile a contrastare sia la siccità sia le piogge torrenziali legate al cambiamento climatico e a contenere gli effetti negativi dell’impermeabilizzazione dei terreni, della cementificazione dei corsi d’acqua, della mancanza di casse d’espansione dei fiumi, della scomparsa di molte zone umide e dell’avanzamento del cuneo salino nelle aree costiere. L’esempio più noto riguarda quanto avviene nella laguna di Venezia e nel delta del Po; qua la conservazione degli habitat naturali a fini venatori consente di mantenere riserve d’acqua dolce-salmastra.
I governi sono dunque chiamati a una politica di conservazione delle risorse idriche; la Federcaccia auspica che il ruolo della caccia sia riconosciuto, e che i cacciatori siano sempre più coinvolti.
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