Il governo Conte ha impugnato la nuova legge regionale del Veneto sulla caccia col falco.
Una legge regionale del Veneto torna davanti alla Corte costituzionale, stavolta l’argomento è la caccia col falco. Su proposta della leghista Erika Stefani, ministro degli Affari regionali, il governo Conte ha impugnato la legge 6/2019 che modifica una norma di diciannove anni fa, la 2/2000 sull’addestramento dei falchi per la caccia. Come di consueto, lo scarno comunicato post consiglio dei ministri non riporta le contestazioni dettagliate. Vi si legge solo il motivo generico, la nuova legge tende “a ridurre in pejus il livello di tutela della fauna selvatica stabilito dalla legislazione nazionale”. E in questo modo, è la posizione del governo, invade la potestà dello Stato, sul tema esclusiva per Costituzione.
Si può però tentare di capire quali siano i punti critici della nuova legge sulla caccia col falco e che cosa il governo contesterà davanti alla Consulta. Un paio di interventi sembrano più formali che altro. Da qualche mese l’addestramento può essere svolto non “in una località”, ma “in una o più località”. E pare una modifica più terminologica che altro quella che trasforma il “divieto di predazione di fauna selvatica” in “divieto di cattura di fauna selvatica” e lo impone non solo per i periodi di caccia chiusa, ma anche nei luoghi in cui “non [sia] previsto l’abbattimento”.
Più problematici gli altri due passaggi. Innanzitutto l’istituzione di apposite zone in cui addestrare il falco per la caccia anche con l’accompagnamento dei cani e consentendo il prelievo “di fauna di allevamento appartenente a specie cacciabili”.
Soprattutto, considerati i precedenti ci sta che il nodo stia nell’ultimo passaggio: la nuova norma sulla caccia col falco coinvolge i falconieri nel controllo faunistico. Che, si sa, non è caccia e soprattutto per legge è limitato ad alcune categorie ben definite.
Ne capiremo di più davanti alla Corte.