“Il cane da montagna, da beccacce e beccaccini” è il titolo del convegno che si è svolto a Lazise. Gli interventi degli illustri relatori fanno il punto sul cane da ferma specializzato.
Il cane da montagna, da beccacce e beccaccini è il titolo dell’interessante convegno che si è svolto a Lazise prima dell’estate. Dopo i saluti alla nutrita platea del sindaco di Lazise, Luca Sebastiano, di Giangaetano Delaini, presidente del Gruppo cinofilo veronese, e di Dino Muto, presidente nazionale Enci, i lavori, moderati da Bernabè e Gulinelli, hanno preso il via con il corso di aggiornamento per esperti giudici delle prove specialistiche per i cani da ferma inglesi.
In primis, è stata presentata da Pavan e Riga My Enci, applicazione necessaria per la raccolta e trasmissione dei dati faunistici all’Ispra, cui è seguito l’intervento di Battanello intitolato Corretto svolgimento del turno di prova (comportamento dei conduttori – primo minuto – durata del turno – completamenti).
L’intervento di Della Bella: la nota del concorso
Il tema della nota del concorso è sicuramente impegnativo e per approfondirlo non basterebbe l’intera mattinata, conseguentemente il mio sarà un esame sommario, integrato da qualche considerazione e convincimento personale e da qualche passaggio tratto da articoli di illustri cinofili.
Le finalità di una prova erano e devono rimanere cinotecniche: un serio confronto, indispensabile per valutare e segnalare le eccellenze, i migliori a cui affidare – in termini di riproduzione – il futuro delle nostre razze da caccia.
Le prime prove di montagna ufficialmente riconosciute si disputarono in Abruzzo su coturnici nei primi anni ’70 su iniziativa del cinofilo abruzzese Massimo Pavoletti, allevatore con l’affisso del Velino. Ma è dal 1980, sul Sirente, per iniziativa di Goffredo de Matteis e del Gruppo cinofilo aquilano, che assumono rilevanza nazionale. Alla prima prova, il 10 e l’11 maggio, in giuria c’erano il conte Romano Saladini Pilastri, Oscar Monaco, Silvano Sorrichetti.
È sempre nei primi anni ’70 l’esordio in Val Brembana, con l’organizzazione del Gruppo cinofilo bergamasco. Negli stessi anni, su iniziativa del Club della beccaccia (presieduto da Giorgio Gramignani), fanno il loro esordio anche le prove su beccacce.
Ma in sintesi, cos’è la nota del concorso? Innanzitutto sgombriamo il campo da un frequente equivoco, scrive Cesare Bonasegale: non c’è nesso alcuno tra nota del concorso e stile, perché la nota del concorso riguarda principalmente la modalità della cerca in funzione del tipo di selvaggina. Lo stile invece è il particolare modo di adempiere a una funzione; costruzione ortodossa e particolari doti psichiche danno come risultato lo stile.
“L’espressione ‘nota del concorso’ sta comunemente ad indicare il complesso dei requisiti minimi che si richiedono a un soggetto perché questo sia considerato idoneo a partecipare a quel tipo di prova in cui è presentato” scrive Enrico Oddo.
Fin qui tutto semplice: essere nella nota significa essere idoneo a concorrere in quella determinata prova; essere non in nota significa non averne i requisiti.
I problemi nascono nel momento in cui questi requisiti vengono valutati sul campo e non sono poche le difficoltà a cogliere e giudicare i pregi e i difetti del cane che, valutati nel loro insieme, consentono di stabilire il grado di aderenza alla nota. Ogni prova, poi, ha dei criteri fondamentali che differiscono, e non di poco, tra loro. Basta mettere a confronto la nota di una classica a quaglie con quella su selvaggina di montagna o su beccacce, ad esempio.
Quindi ogni tipo di prova ha una specifica nota e la valutazione del giudice presuppone l’esatta conoscenza della formula e delle finalità perseguite con quel tipo di prova.
Il primo requisito è certamente l’azione, condizione sine qua non. Che sia al galoppo o al trotto dipende dalle razze, ma deve sempre essere ragionata, non invasata. Si dovrebbe, uso il condizionale, correre per cercare, cercare per trovare e fermare. Il cane deve saper adattare l’andatura alla configurazione e alla natura del terreno da esplorare. Questo lo dice il regolamento, ma anche il buonsenso. Quindi il metodo non è altro che un procedimento atto a garantire, sul piano pratico, il soddisfacente risultato di un lavoro.
Metodo è il contrario di disordine, ma non va confuso con la geometria della cerca (indispensabile su altri terreni e su altri selvatici) o con l’imperante cerca scolastica (utile solo a ritrovare qualche animaletto di voliera disperso nel praticello). “A condizionare, a imporre il metodo sono la selvaggina, il terreno e il vento” scrive dall’alto della sua competenza ed esperienza l’avvocato Zurlinl.
È a questo punto opportuno puntualizzare che, se le prove su beccacce si svolgono su selvatici già sostanzialmente maturi, con delle difese a terra già ben sviluppate, anche se giovani dell’anno, la stragrande maggioranza di quelle su selvaggina di montagna si disputano tra la metà di agosto e la metà di settembre, quasi esclusivamente su galli forcelli in muta, se adulti, o su pulli di poche settimane di vita. Entrambi, in quel periodo, hanno nel mimetismo e nell’immobilità la loro miglior difesa e si affidano alle ali come extrema ratio. È, infatti, di prassi l’uso del bastone per frugare tra la vegetazione davanti al cane in ferma per indurre al volo i giovani. Se a ciò aggiungiamo i numerosi indirizzi olfattivi che lasciano sul terreno, ben comprendiamo che fermare dei galli, in quel periodo, è forse più agevole che fermare, fatte le debite proporzioni, un fagianetto di voliera.
Quindi il punto ha ben poco valore se non è frutto di un lavoro confacente al tipo di prova, ma dimostra solo che si tratta di un cane da ferma (e per appurare ciò non serve scomodare organizzatori, conduttori, esperti). È per questo che in una ferma assume fondamentale importanza l’esperienza del cane per impostarla e del giudice per valutarla.
Discorso a parte è il punto su coturnici, estremamente selettive in qualunque stagione, barriera invalicabile per gli improvvisati. Ritengo vadano incentivate, valutando anche la possibilità di reinserirne almeno un paio nel calendario del trofeo Saladini Pilastri.
Vorrei porre l’attenzione su un altro aspetto che ritengo di primaria importanza e mi riferisco alle partenze, allo sgancio. Nelle prove in cui si concorre in coppia – sia su beccacce che su tipica alpina – assistiamo troppo spesso a partenze in profondità, con entrambi i soggetti appaiati, in competizione tra loro e con i conduttori costretti a ripetuti richiami e a rincorrere i cani. Il solo risultato è quello di allarmare eventuali selvatici presenti e di lasciare inesplorata ampia parte di terreno utile. Il regolamento dispone, non per caso, che il primo estratto nel sorteggio dei turni debba partire a destra, mentre il secondo a sinistra. Questo ha un fine pratico: il collaborare per raggiungere lo scopo, quindi Bill con Tom, non Bill contro Tom.
Non c’è nulla di male nel gusto di cimentarsi e nel desiderio di primeggiare, purché non si trasformi il concetto stesso delle prove, da tecnico sportivo in sportivo soltanto. È compito e dovere del giudice, a cui spetta l’onere di valutare in base a criteri esclusivamente tecnici, far sì che il principio sia salvo.
La relazione di Mantegari: cerca, collegamento e fuori mano
I regolamenti sono stati stilati da persone sagge, con lo scopo di mantenere e migliorare le razze. L’uniformità di giudizio non è facile da raggiungere (per il modo di immagazzinare esperienze cino-venatorie), ma certamente ci appartiene il compito di mantenere elevato il patrimonio zootecnico delle razze da lavoro.
Qualche sfumatura è lecita, perché nessuno di noi è depositario di alcuna verità, ma quello che riguarda il concetto essenziale del lavoro del cane deve essere il medesimo per tutti. Questo lo dobbiamo ai saggi del passato, ma soprattutto è doveroso nel rispetto dell’impegno che ci siamo presi nei confronti dei nostri cani.
Il regolamento Enci per la cerca nelle prove specialistiche di montagna dice: “La cerca del cane dovrà adattarsi necessariamente alla speciale natura e alla conformazione del terreno da esplorare; l’esperienza su come affrontare il terreno, adeguandovi il percorso, e su come cercare il selvatico è fondamentale requisito del lavoro da svolgere nelle prove di montagna”.
Per le prove a beccacce, il regolamento ripete le medesime frasi, aggiungendo: “Svolgendosi la cerca in terreni solitamente coperti e boscosi, assume particolare valore il collegamento del cane con il proprio conduttore, e la cerca dovrà consentire una esplorazione metodica”.
La cerca è il lavoro istintivo del cane da caccia, è svolta senza dispendio di energie e impiega l’olfatto per il reperimento del selvatico. Altri aspetti da valutare sono l’avidità e, soprattutto, il metodo. Il metodo è determinato dal selvatico, dal terreno, dalle condizioni meteorologiche e dal vento. In determinate situazioni è il metodo che può condizionare lo stile dei cani e mai viceversa.
La cerca, o metodo, in montagna o a beccacce è animata dalla passione che il cane ha per trovare la selvaggina, è guidata dalla sua intelligenza, sagacità ed esperienza maturata in quei contesti.
La velocità, o ritmo, deve conciliarsi con la necessità di analizzare con giudizioso zelo i luoghi più probabili di pastura o di rimessa. Il cane deve saper leggere il terreno e questo è frutto dell’esperienza: il cane intelligente cambia ritmo in prossimità di possibili zone buone.
L’iniziativa è l’input che spinge il cane a estendere la cerca fino a dove l’esperienza e l’istinto gli suggeriscono la presenza di selvatico, senza attendere ordini dal conduttore, perché è lui che porta in giro il naso, ma ricordandosi sempre del fucile che deve servire.
Da queste funzioni dipende il rendimento, sono questi fattori a fare la differenza da un cane che trova sempre, da quello che è sempre sfortunato in prova.
Un altro aspetto da tenere in alta considerazione nei cani sottoposti al nostro giudizio è il fondo. Il fondo è dote necessaria per chi calpesta questi ambienti.
Questi sono gli aspetti che ricerchiamo nella cerca utile e che dobbiamo valorizzare.
Purtroppo troppo spesso vediamo dei soggetti imbizzarriti correre forsennatamente senza logica in questi contesti venatori, dove a volte il selvatico incocciato sulla corsa ferma il cane, azione fortunose di poco valore venatorio. A volte capita di trovare poca selvaggina, ma se non viene impiegata una cerca utile, tanti selvatici rimangono indisturbati nel loro habitat.
Un altro aspetto negativo che si ripete sempre più spesso (ricalcando quanto succede in altre prove) è l’uso inappropriato del fischietto durante la cerca del cane. Troppo spesso fischi inopportuni invadono il bosco. La prova non deve essere scambiata per un allenamento dove è importante intervenire e correggere, la prova è il momento dell’esame.
Dentro al concetto di cerca utile ci sta il collegamento, di cui non è lecito prescindere mai. Il nostro cane caccia assieme a me, per me, al servizio del mio fucile. Questo binomio indissolubile si crea con il rapporto e dall’addestramento che si è capaci di instaurare con nostro ausiliare. Ci sono soggetti naturalmente collegati, con cui ci si intende con un solo gesto, anche a distanza (senza che l’ausiliare venga da noi per poi essere indirizzato), ai quali si può lasciare quanta briglia si crede. Questi cani sanno sempre dove siamo e facilmente ci ritrovano. Con altri soggetti meno dotati si deve invece intervenire in modo coercitivo, con fischi, per avere una futile collaborazione. Un cane che non caccia per il proprio padrone è inservibile.
Fuori mano lo è quel soggetto che caccia per sé, senza avere feeling con il conduttore. Non è la distanza che determina il fuori mano, ma il totale disinteresse da parte dell’ausiliare a voler collaborare. La gestualità e l’uso del fischio, o la tranquillità del conduttore ti fanno capire rapidamente quale sia il loro rapporto nell’affrontare la prova.
L’addestrabilità è importante qualità che il cane deve possedere nel suo Dna. L’impostazione della prova ha le sue regole, la direzione da seguire è quella indicata dagli accompagnatori, non quella all’inseguimento del soggetto che parte per i fatti suoi.
Il significato etimologico di cinofilia significa rapporto di amorevole reciprocità: il cinofilo amico del cane, che a sua volta è il migliore amico dell’uomo.
Presa di punto, espressione di ferma, guidata, correttezza al frullo. La presentazione di Toniato
Matteo Toniato è poi intervenuto con un’interessante relazione focalizzata su presa di punto, espressione di ferma, guidata e correttezza al frullo. Potete visualizzare l’intera presentazione, corredata anche da belle immagini, cliccando qui.
Gli errori: come interpretarli. La parola a Frangini
È bene precisare, innanzitutto, di fare attenzione a non confondere gli errori con i difetti. I difetti, o le carenze, sono presenti nel bagaglio individuale di ogni cane e quindi affioreranno in modo duraturo e costante; gli errori sono da considerarsi episodi sporadici, spesso causati da situazioni particolarmente avverse.
Molti errori non hanno peso evidente, ma influiscono negativamente sul complesso del lavoro del cane. Quelli che, invece, sono determinanti, giungendo fino all’eliminazione del cane dalla prova, sono lo sfrullo, il trascuro e il sorpasso. Questi eventi sottintendono, ovviamente, la verificata presenza del selvatico.
Lo sfrullo si verifica quando il cane passa a distanza tale da un selvatico da procurarne l’involo, senza averne in alcun modo segnalata la presenza. Non viene perdonato quasi mai, anche se i criteri di giudizio e i regolamenti prevedono la possibilità di una certa tolleranza.
Personalmente propendo per la misura drastica, tenendo a mente il detto che afferma che “essere buoni è facile, il difficile è essere giusti”. Andando a cercare scusanti, si rischia di essere troppo buoni, non di essere giusti. I conduttori dei cani, eventualmente assolti, gratificheranno il giudice considerandolo “uno che sta dalla parte del cane”. È solo passeggera convenienza.
Anche il così detto “sfrullo a cattivo vento” è quasi sempre responsabilità del cane, poiché molto spesso in quelle condizioni ci si è messo lui.
Nel caso in cui il frullo avvenga dopo che il cane ha dato segno di avere avvertito l’emanazione, non si tratta più di sfrullo, ma di avere avvertito e fatto volare, che è un fatto più grave perché non fortuito, avvenuto per carenza olfattiva e, peggio, per volontà.
Trascuro è un termine che sintetizza un avvenimento che richiede una descrizione più precisa. Trattasi di involo di selvatico che il cane non ha utilizzato, perché aveva trascurato di esplorare una zona, verificatasi poi adatta alla presenza di selvaggina e compresa nel così detto terreno utile. Si può chiudere un occhio, qualora si stia seguendo il lavoro di un cane attento, di metodo, tradito dalla scelta sballata di un selvatico ricoverato in luogo assurdo o inusuale.
La decisione del giudice sottintende esperienza di caccia, conoscenza delle normali abitudini di quel tipo di selvaggina e delle caratteristiche di quel particolare terreno. Molta roba!
I conduttori dei cane, accusati di trascuro, perorano spesso l’innocenza del loro ausiliare, sostenendo che di lì non c’era passato, dimenticando o facendo finta di non sapere che il loro cane ha l’obbligo di cercare la selvaggina e non il compito, piuttosto facile, di fermare solo quella che avrebbe comunque pestato.
Da tenere in debito conto che il volatile trascurato frulla dopo o durante il passaggio di giudici e conduttori nella zona, fatto che non ci può rendere certi che non siano stati trascurati altri uccelli.
Il sorpasso entra in scena nel momento in cui frulla la selvaggina da una località precedentemente esplorata dal cane in prova. È fatto grave perché l’animale ricercato era sicuramente tranquillo, dato che ha fatto passare il cane ed è volato per susseguente e diverso disturbo, senza il quale non si sarebbe verificata la sua presenza e non possiamo sapere, come osservato per il trascuro, se fosse l’unico presente nella zona. Meglio essere severi!
Il discorso, mai semplice, diviene complesso quando si affronta il tema dello stile. Se ne parla molto, spesso troppo, qualche volta a sproposito, intendendo dire, senza una vera e propria conoscenza di ciò di cui si sta parlando. Si cade spesso nell’equivoco di scambiare difetti di costruzione per difetti – o carenze – di tipicità stilistica. Ma quando si argomenta di stile di razza, va tenuto conto del temperamento, del comportamento e del carattere. Queste invisibili caratteristiche sono la struttura portante dello stile, che si evidenzia attraverso una corretta struttura fisica.
Risulta lampante che anche solo il voler sfiorare tali argomenti richiederebbe molto più del tempo disponibile e, a esser sinceri, anche molte più delle conoscenze in mio possesso. Quando tutte le componenti sopra accennate sono presenti in misura insufficiente o una di loro è assente, la povero cane dovrebbe essere definito “atipico” e squalificato. Personalmente non ho mai avuto notizia della messa in atto di tale provvedimento, anche se non posso escludere il contrario.
Colgo l’occasione per rimarcare una mia convinzione, che cerco di applicare quando giudico. Il famoso Cac non fa parte delle qualifiche, ma “dovrebbe” servire a segnalare un soggetto il quale, svolto un lavoro venatoriamente eccellente, abbia messo in evidenza una caratura stilistica tale da farlo considerare individuo di spicco nei riguardi della razza di appartenenza.
Non esiste il così detto “turno da Cac” ma un cane che, svolto un turno nella piena eccellenza, abbia convinto per le pregevoli caratteristiche di razza. Tutti quei soggetti, pur bravissimi, ma non altrettanto aderenti allo stile di razza, si dovranno accontentare di un brillante 1° Eccellente che, mi sembra, sia migliore di un pugno nello stomaco.
Secondo me, e con questo poi chiudo, largheggiamo oltre misura nel rilascio di Cac a cani stilisticamente non più che normali. Se usassimo maggior parsimonia ci verrebbero probabilmente lanciate delle occhiatacce, ma le razze ce ne sarebbero grate.
Oaks: finalità di queste prove. L’intervento di Biggi
La parola è passata poi a Zigliani che ha relazionato su come e quando è opportuno il turno di richiamo.
È seguito poi l’intervento di Biggi sulle Oaks (finalità di queste prove e criteri fondamentali di giudizio delle prove specialistiche). Lo riportiamo interamente qui di seguito.
Credo che il giudizio sia composto da due componenti principali: una oggettiva e una soggettiva.
Quella oggettiva è vera per tutti e si basa sulla stretta applicazione del regolamento: un cane che trascura, un cane che manca il consenso… ci sono aspetti su cui non ci possono essere differenze di interpretazione.
Poi vi è una componete soggettiva che riflette le idee e le preferenze individuali legate a esperienze personali dei giudici, che si rifà alla nostra conoscenza della razza e all’esperienza venatoria di ciascuno di noi.
La combinazione di queste due componenti – soggettiva e oggettiva – fa il giudizio dell’azione del cane in ciascuna singola prova. E il valore del soggetto, a mio avviso, nasce dalla pluralità dei giudizi che emergono da più prove. La parte della quale mi occupo in questa sede ricade nella componente oggettiva.
La cinofilia venatoria è passata da essere un’attività zootecnica pura a essere, oggi, un’attività sportiva a finalità zootecniche. A pensarci bene le due posizioni non sono in contrasto l’una con l’altra: la zootecnia richiede rigide valutazioni selettive. L’attività sportiva richiede prima di ogni altra cosa l’accettazione delle regole ai fini agonistici. Nell’attività sportiva a finalità zootecnica le regole, sia ai fini agonistici sia per le valutazioni selettive, sono contenute nei regolamenti e negli standard di lavoro di ogni razza.
Occorre però, a mio avviso, stare attenti a non derivare esclusivamente nel cane da sport, non vedere un esperto giudice come un arbitro di calcio, ma piuttosto come un tecnico di laboratorio. Allora, leggendo quello che dice il regolamento, vorrei focalizzare l’attenzione su quelle che ritengo essere le parole e/o passaggi importanti.
Per le Oaks le parole chiave potrebbe essere: qualità naturali, stile ed equilibrio venatorio.
Per quelli che sono i criteri di giudizio (richiamando agli articoli 19 e 20): l’aderenza allo stile (ancora) e il rendimento venatorio (ancora); negli articoli 21, 22 e 23 è richiesto di “adeguarsi alle speciali situazioni”. Sempre negli stessi articoli, nella parte relativa a quanto richiesto nelle prestazioni mi focalizzerei su: adattamento al terreno, resistenza, autonomia (non eccessiva indipendenza), esplorazione metodica.
I criteri di giudizio che noi dobbiamo applicare nelle prove di lavoro sono strettamente riconducibili alla risposta che dobbiamo dare a due domande, che non dobbiamo mai dimenticare.
- Che cosa è una prova di lavoro per cani da ferma?
- Che differenza c’è tra cane da prove (non gare) e cane da caccia?
Una prova di lavoro è un test, è una verifica morfo funzionale di un cane appartenente ad una determinata razza da caccia, il cui movimento, il cui comportamento a contatto con il selvatico e con il quesito olfattivo, i cui comportamenti sul terreno sono definiti dallo standard della razza al quale esso appartiene. Anche nel metodo di cerca, ossia come si affronta il terreno. Pointer e setter sono cani con caratteristiche di razza profondamente differenti. Tutte le prove di lavoro sono parimenti importanti, perché test nei quali si analizzano in condizioni di prova differenti, peculiarità differenti.
Le prove specialistiche sono quelle che oggi rimangono le più vicine alla caccia cacciata, ossia più vicine ai fruitori della nostra selezione. In una prova verifico l’aderenza al tipo di cani con spiccate attitudini venatorie. Aldilà di quello che viene espresso in quegli strumenti di distruzione di cervelli in massa che sono i social network. Una cane da prove è un grande cane da caccia, che dimostra di appartenere alla propria razza (aderenza allo stile e rendimento venatorio).
In una prova specialistica si deve esaltare la capacità di leggere il terreno, che richiede conoscenza del tipo di azione venatoria da parte del soggetto che è sottoposto a verifica. Il lavoro del cane deve essere valutato come ausilio all’azione di caccia da parte dell’uomo. Occorre stare attenti a non far si che l’uomo non diventi di ausilio all’azione venatoria del cane da caccia.
Le Oaks richiedono le stesse cose, evidenziando ancor di più (qualora ve ne fosse il caso) che lo scopo principale delle nostre manifestazioni è la selezione e che alla base della nostra selezione vi sono le fattrici.
Dopo un inquadramento generale mi permetto di lanciare qualche sasso nello stagno sperando di vivacizzare il dibattito e allora vorrei esprimere una perplessità sulla resistenza, valutata in prova su turni comunque di breve durata. Se è pur vero che sicuramente un cane che non regge un turno di pochi minuti, non può reggere una giornata di caccia, non è necessariamente vero il contrario. Nelle prove specialistiche in molti casi si riesce a valutare comunque la capacità di soffrire, in un rododendro alto o in una pietraia ripida; in un fitto maremmano posso valutare la tenacia di un cane e la capacità a non scoraggiarsi in situazioni non semplici.
Nella valutazione stilistica del lavoro del cane viene oggi sempre meno a mancare la possibilità di valutare compiutamente il lavoro a contatto con l’emanazione. Le ampiezze di cerca tollerate oggi e fruibili grazie agli strumenti tecnologici che ci sono messi a disposizione, ci portano sempre di più alla ricerca del cane fermo individuato senza poter valutare il lavoro precedente alla ferma. Valutiamo l’espressione in ferma e la conclusione. Sempre meno riusciamo a valutare la presa di punto.
Infine, vorrei insinuare un dubbio sulla correttezza al frullo e allo sparo. Chiedo quale è il corretto comportamento al frullo e allo sparo da parte di un cane da caccia? Mi verrebbe provocatoriamente da dire che un comportamento corretto è quando un cane non si ritrae al frullo del selvatico e allo sparo del conduttore, ma non riesco a essere così fiscale sull’assoluta immobilità. Immobilità nata sicuramente dalle origini anglosassoni delle nostre prove, sicuramente utile in alcune situazioni a caccia, ma non so se così utile ai fini della selezione.
Zurlini su qualifiche e certificati
L’omogeneità di giudizio: come ottenerla? La fatica di giudicare è stata materia sviscerata da Ricciardi, mentre Di Pinto ha relazionato sulla corretta esecuzione e i criteri di giudizio in merito al barrage.
A questi due interventi è seguito quello di Zurlini su qualifiche e certificati che riportiamo per esteso a seguire.
Non abbiamo più cani molto buoni (Mb) e non abbiamo nemmeno più cani buoni (B)! Eppure nel regolamento ci sono queste due qualifiche, perché non vengono più utilizzate?
Il Molto buono andrebbe dato a quel cane che ha compiuto un ottimo lavoro, dimostrando di possedere in notevole grado le doti e le qualità peculiari della razza. Non è poco! Ma è talmente squalificata la qualifica di Molto buono, che qualche conduttore trova anche delle difficoltà a consegnare il libretto per farlo sottoscrivere. Tante volte la giuria commenta dicendo: “quel cane non è stato granché… anche il punto non è stato una gran cosa… aveva poca iniziativa… al massimo possiamo dargli un Molto buono”. Al massimo? E invece al minimo? Molto buono significa semplicemente buonissimo! Spesso si qualificano con il Molto buono cani cui andrebbe il Buono e con l’Eccellente cani che dovrebbero essere giudicati con il Molto buono.
Eccellente è la massima delle qualifiche e va a quel cane “che abbia dimostrato di possedere al più alto grado tutte le doti di stil e le qualità naturali che caratterizzano la razza, quelle da ferma in genere e quella a cui appartiene in particolare. Inoltre, il cane qualificato eccellente non deve avere palesato difetti o essere incorso in errori gravi, dimostrandosi soggetto di eccezione e capace di svolgere alla perfezione il lavoro prescritto dallo standard”. Per ovviare al rispetto di questo insindacabile verdetto, abbiamo inventato “l’eccellentino” che però si scrive Ecc, si legge Eccellente e quello che vale è quello che si legge per la qualifica di Eccellente.
Quante volte vediamo assegnare il 1° Eccellente in batterie dove non ci sono altri cani in classifica con il presupposto che la prova era difficile, il terreno era duro o asciutto, non c’era vento, la selvaggia era birbona eccetera. Così a quell’unico cane che siamo riusciti a classificare proponiamo di dare l’Eccellente.
Anni fa mi trovavo a giudicare la Grande cerca in terreni splendidi e dopo aver dato la relazione della mia batteria ho ascoltato quella di un collega: 10 coppie e mezzo, 21 cani, 17 cani in classifica, tutti eccellenti e i primi tre con il certificato. 17 Eccellenti su 21 cani. Sono rimasto ammirato e in separata sede mi son permesso di chiedere al collega non come avesse fatto a mettere in classifica 17 cani, ma come aveva fatto a eliminarne quattro!
Arriviamo a parlare dei certificati. Noi giudici abbiamo la facoltà di certificare… e di questa facoltà dovremmo tenerne conto!
Per il Certificato di qualità naturali (Cqn) il regolamento dice che va “a quel cane che essendosi aggiudicato almeno una ferma utile su selvatico prescritto e aver dato prova di grandi qualità naturali verificate per una congrua parte del turno, abbia commesso errori di dressaggio”. Tutto bene, purché sia chiara la differenza tra errori, difetti e carenze. Una volta si diceva che il Cqn è una sorta di Cac mancato, non è vero! Ma non è nemmeno una mentina un contentino da rilasciare con troppa magnanimità.
Il Cac è un certificato di validità nazionale che attesta che il soggetto a cui viene assegnato possiede caratteristiche tali da rispecchiare lo standard ideale della razza a cui appartiene. È sempre così? Non pensate ne vengano rilasciati tanti, troppi, e talvolta senza che ce ne sia motivo. A volte il certificato viene assegnato quasi automaticamente al primo cane in classifica. E quante volte abbiamo osservato che in numerose prove quasi mai viene assegnato il certificato? E la riserva di Cac? Non pensate che la capacità di attribuire il certificato non ammetta riserva?
Inviterei tutti ad usare molto garbo nell’impiegare i poteri che noi giudici abbiamo. Vista l’età, vorrei lasciare qualcosa che rappresenti il mio testamento cinofilo: abbiate rispetto della vostra trombetta, è l’unico modo che possiamo avere per pretenderne rispetto.
Io mi sono imposto due regole che non ho nessuna intenzione di imporre a voi, ma voglio proporvi. Il primo è non giudicare mai prove su selvaggina che non conosco; e la seconda è di non dimenticare mai, nemmeno per un istante, che stai giudicando un cane da caccia.
La voce dei conduttori e le premiazioni
Hanno concluso il corso di aggiornamento per esperti giudici gli interventi di Cortesi (Le prove su beccaccini: la nota di concorso), di Tortora (Innovazione tecnologica: utilizzo dell’apparecchio satellitare in sostituzione del beeper) e di Delaini (Cinofilia e caccia: il significato delle prove specialistiche e dei trofei).
Anche la voce dei conduttori ha avuto spazio a fine mattinata ed è stata quella di Baldoni, Bravaccini, Flores, Trentin e di Vacca.
Al termini dei lavori si sono infine svolte svolte le premiazioni dei trofei 2021: Trofeo, Saladini Pilastri, Trofeo Monti Pointer club, Trofeo Pedrazzoli Pointer club, Trofeo Gramignani, Trofeo Ciceri, Campionato europeo di montagna, Campionato europeo su beccacce, Trofeo Sgneppa d’oro a beccaccini.
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