Il setter irlandese, da sempre un po’ frainteso e ritenuto il fratello minore dell’inglese, ha invece una sua identità, forte e decisa, che non gli fa temere alcun confronto.
Per vari motivi, in Italia il setter irlandese è ritenuto un cane da signorine o al limite da esposizione. Il primo irlandese l’ho conosciuto da bambina, l’ho incontrato quando la moda degli irlandesi da compagnia si andava esaurendo e mio zio, kurzhaarista accanito, ne aveva adottato uno.
Non lo aveva scelto, si erano incontrati durante una giornata di caccia e il cane lo aveva seguito fino all’auto. Rosso, così si chiamava, era un cane bellissimo ed è vissuto almeno 17 anni. Non lo si ricorda, tuttavia, come un gran cacciatore. In un certo senso quel cane rispecchia quello che la maggior parte dei cacciatori italiani pensano degli Irish: cani molto belli, ma poco utili.
Stanno davvero così le cose? Senza andare a ripercorrere tutta la storia della razza in Italia, mi preme però sottolineare come l’irlandese, nel nostro Paese, sia stato subito messo in ombra dal cugino inglese di cui gli italiani si sono subito innamorati; e ancora lo sono.
Questo ha fatto sì che gli spazi di manovra per il bel rosso siano da sempre molto ridotti. Il cacciatore, desideroso si accompagnarsi a un setter, generalmente sceglieva e sceglie l’inglese. Chi voleva e vuole l’irlandese doveva e deve andarselo a cercare e appoggiarsi ai pochi allevamenti che selezionavano per il lavoro. Già, perché gli allevamenti di setter irlandesi da lavoro sono pochi rispetto agli allevamenti che selezionano cani da compagnia e da esposizione.
Il setter irlandese paga la sua bellezza
Questa razza da almeno 200 anni paga lo scotto di avere un bellissimo mantello rosso mogano. In verità l’irlandese nasce rosso e bianco e poi diventa, attraverso scelte selettive, rosso unicolore.
Da lì in poi ottiene un enorme consenso di pubblico e la razza viene raffinata ricercando cani più alti e slanciati, dal muso più cesellato e dal mantello sempre più lungo. Si va, insomma, verso l’iper-tipo, curando la morfologia a scapito delle attitudini venatorie.
La pressione selettiva in questa direzione, guidata da un certo tipo di richieste di mercato, ha ulteriormente diffamato l’irlandese: se su 100 esemplari 90 sono da esposizione e solo 10 di lavoro, ci sarà pur un motivo.
Aggiungiamo a questa cattiva fama l’incauto acquisto da parte di qualcuno che, ignaro, si è comprato un irlandese da esposizione, lo ha porta a caccia e le cose non sono andate come ci si aspettava che andassero.
L’irlandese sui moor
Fatte queste premesse, io all’irlandese ho sempre guardato con simpatia e curiosità, rivolgendo molte domande sia agli utilizzatori della razza, sia ai detrattori, sia a coloro che avevano avuto modo di vederne un buon numero, come ad esempio i giudici.
Il denominatore comune? L’irlandese, stando a quel che si sente dire, sarebbe una sorta di “cane da ferma che non ferma”. Questo sarebbe il suo più grande limite. Beh, è ovvio che nessun utilizzatore di cani da ferma vuole ritrovarsi per le mani un cane che apre come un setter, è velocissimo e poi alza come uno springer.
Ma le cose stanno davvero così o si esagera? La risposta l’ho avuta anni dopo, dopo qualche estate trascorsa sui moor di Scozia e Inghilterra. Prima scoperta: alle prove di lavoro su grouse partecipa un nutrito gruppo di setter irlandesi provenienti da Inghilterra, Scozia e Irlanda.
Sono cani selezionati per il lavoro, alcuni di loro sono esili, di bassa statura e “bruttini”; altri sono piuttosto tipici, in taglia e ricordano il tipo originale della razza. Sono bravi? Sulle grouse se la cavano decisamente bene, li ho visti correre anche nelle prove su starne, ma il meglio di sé lo sanno dare sulle grouse. Questo perché hanno quel tanto di sfrontatezza che li rende sicuri anche di fronte a un’emanazione molto intensa come può essere quella di una covata di grouse.
Non manca di spavalderia
Così si torna al discorso del cane “che non ferma”: il setter inglese, che noi italiani tanto amiamo e che spesso usiamo come metro di confronto per valutare le altre razze, è un cane molto cauto. Ferma, attende e, se non si sente sicuro, può avere esitazioni nella guidata.
A noi italiani la ferma solida dell’inglese piace, i britannici, al contrario, sovente lo ritengono sticky (colloso-appiccicoso), troppo esitante quando viene il momento di concludere un’azione. Non ricordo, invece, di aver mai sentito questa definizione attribuita a un’irlandese che, al contrario, non manca affatto di spavalderia.
Le ragioni di ciò vanno ricercate nella storia della razza. Gli autentici rossi d’Irlanda non sono mai stati cani da gentiluomini, né tantomeno da signorine, erano cani che aiutavano i proprietari a mettere qualcosa in padella; non dimentichiamo che l’Irlanda è stata a lungo un Paese molto povero e colpito da periodiche carestie.
In quei contesti serviva un cane rustico e sagace, il che lo ha probabilmente portato a essere, a volte, fin troppo sbrigativo. Però, così mi è stato riferito da più di un amatore della razza, la solidità della ferma può essere migliorata attraverso l’addestramento e la comprensione del soggetto. L’irlandese del resto è storicamente il cane di un solo padrone, con il quale crea un rapporto molto stretto.
Quando parlo di razze che non possiedo, mi piace sempre dare la parola a qualcuno che le ha vissute in prima persona. In questo passo il testimone a Susan Stone che, a dispetto del nome, è una cinofila della Svizzera tedesca. Perché proprio Susan che, detto tra noi, non ha nemmeno il porto d’armi? Perché ha vissuto la parabola del sette irlandese.
L’ha conosciuto come cane da famiglia e da esposizione, e poi è passata a preparare, condurre e allevare cani da lavoro. Ma non solo. Susan è una risorsa perché si è data un gran daffare per conoscere la situazione degli irlandesi in varie parti d’Europa. Ha corso con i cani in Inghilterra, Scozia, Francia, Italia e ha importato il suo maschio dalla Finlandia. Credo pertanto che possa darci una buona visione d’insieme sulla razza.
Susan Stone e i suoi irlandesi
I setter irlandesi sono stati sempre presenti a casa nostra – afferma Susan. Ero una bambina, parliamo di almeno 40 anni fa, e in famiglia avevamo un setter irlandese di nome Copper, che in italiano vuol dire rame.
In famiglia abbiamo sempre avuto setter irlandesi che presentavamo in expo. All’epoca non sapevo nulla dei setter irlandesi da caccia e preparavo i miei cani per altre discipline come l’obedience, la ricerca in superficie e la ricerca dei dispersi sotto valanghe.
Solo molti anni dopo ho avuto le opportunità, il tempo e il denaro per affrontare il discorso del lavoro su selvaggina. La mia vita ha subito una svolta dopo l’essere andata in Scozia con il mio setter (da expo) a frequentare un corso per preparare i cani da ferma al lavoro su grouse. Da lì in poi non ho più guardato indietro: è un privilegio lavorare gli irlandesi seguendo la loro natura, nel loro ambiente, con i loro selvatici.
Toccando con mano il lavoro dell’irlandese ho capito (e lo si apprende solo con l’esperienza) che con un cane da esposizione non si può essere competitivi. Si può arrivare solo fino a un certo punto e, per giunta, faticando parecchio per preparare il cane. Comprendendo che con un cane da lavoro sarebbe stato tutto più semplice, nel 2012 ho acquistato una femmina dual type ossia figlia di una cagna di linee da esposizione coperta da un campione di lavoro. La cagna si chiama Annie (Corradeelish Sionnach) ed è nata in Irlanda.
In un certo senso Annie è stata una transizione e qualche anno dopo è arrivato dalla Finlandia un setter tutto da lavoro, Pinebay Coppersheen Columbus detto Kettu (volpe). Nel suo pedigree ci sono le linee Lusca, Rushfield, Bownard, Sheantullagh e altre linee da lavoro scandinave. Devo ammettere che, venendo dai cani da esposizione, pensavo che i cani da lavoro fossero piccoli e brutti. Poi li ho visti sui moor, in Scozia: sono i terreni duri a farli diventare belli.
Non esistono più cani brutti
Non esistono più cani brutti, esistono solo movimenti fluidi e serpeggianti, nasi incollati al vento, teste che cercano l’emanazione. I loro corpi si trasformano allo scopo di trovare una grouse e tutto accade a una velocità impressionante. Quando assisti a uno spettacolo simile ti dimentichi degli irlandese da esposizione; o meglio, te ne ricordi e ti preoccupi vedendo appassionati che selezionano principalmente per il pelo.
Rispetto punti di vista diversi dal mio, ma a questi cani mancano le doti che servono per lavorare: sono troppo pesanti, non hanno resistenza, non hanno mentalità, non hanno la voglia di cercare.
La costruzione fisica vincente in expo non è vincente sul terreno. Sono troppo lunghi, hanno troppo pelo che li impiccia nel lavoro e li rende difficili da ripulire ma, soprattutto, la cassa toracica, per quanto profonda, non è abbastanza larga e arcuata. Anche il posteriore è troppo angolato. Insomma, per me è un no.
Con questo non voglio dire che i setter irlandesi da esposizione dovrebbero estinguersi: come cani da famiglia sono molto più facili dei cani a esposizione. D’altra parte, le linee da show potrebbero trarre beneficio dall’essere incrociate con linee da lavoro.
La razza tornerebbe più vicina alle sue origini riguadagnando capacità venatorie, verrebbero corretti alcuni errori morfologici legati all’iper-tipo e ci sarebbe un aumento della variabilità genetica, utile nel contrastare le malattie ereditarie che si riscontrano in queste linee. Credo che aumenterebbe anche l’intelligenza e sicuramente l’opinione che molti hanno dell’Irish, soprattutto i cacciatori appassionati di altre razze, cambierebbe
Sostanza e morfologia
Come avrete capito – prosegue Susan Stone- tifo per i cani da lavoro ma, in fondo, nemmeno tutti i setter da lavoro sono perfetti; ci sono, infatti, opinioni e tendenze selettive diverse. Le doti che tutti vogliono sono velocità, resistenza, voglia di cercare e stile. Però si bada troppo poco alla morfologia: se i setter da esposizione sono troppo pesanti, quelli da lavoro spesso sono troppo leggeri. Gli allevatori spesso scelgono quale cane tenere per sé e lo scelgono in base al temperamento: quelli più vivaci sono sovente quelli più leggeri.
La taglia e la sostanza non sono l’unico problema. Vedo groppe troppo corte e inclinate, gomiti che buttano all’infuori e pastorali deboli. Tra i punti di forza morfologici, invece, gli Irish da lavoro hanno buone spalle e buone angolazioni dell’anteriore, schiene forti e reni muscolosi, e gabbie toraciche ben cerchiate, che danno a cuore e polmoni tutto lo spazio che serve.
Gli appassionati di cani da lavoro tendono a cercare il cuore: un cane con tanta passione corre e caccia in barba a ogni limite morfologico. Questo è vero, però, personalmente ritengo – e non credo affatto di essere la sola a pensarla così – che avere un cane che possiede sia il cuore, sia una buona morfologia significhi avere un soggetto superiore, migliore di un cane cui manca una delle due cose.
Come ho detto, i moor rendono bello qualsiasi setter irlandese brutto, però i cani da lavoro striminziti continuano a non piacermi. Per fortuna esistono anche cani da lavoro in tipo. Vi cito come esempio un cane che mi ha stupito sia per le qualità naturali sia per la morfologia.
Questo cane è un rosso nato in Irlanda e appartiene a Mark Adams. Sto parlando del FT Ch. Ballydavid Spitfire, un cane di sostanza, ben angolato, in taglia, con un bel pelo e con il vero carattere dell’Irish. Questo cane è eccellente in lavoro, è campione di lavoro ed è arrivato secondo al Champion Stake britannico (prova di eccellenza per setter e pointer).
Irlandesi al lavoro
Il lavoro dei setter irlandesi è condizionato dai selvatici e dai terreni a disposizione. Questo significa che non tutti gli appassionati hanno a disposizione gli stessi selvatici e le stesse opportunità. Da svizzera, stante la nostra legislazione in materia di caccia, lo percepisco sulla mia pelle.
D’altra parte, vivendo nel centro dell’Europa ho avuto la possibilità di correre e allenare in Francia, in Germania e in Italia, oltre che nel Regno Unito. Il setter irlandese è un eccellente cane da grouse, forse è il selvatico che più gli si addice, ma questi cani sono perfettamente in grado di lavorare anche gli altri selvatici.
Il setter irlandese da lavoro, in ferma, non è stilista come il pointer o il setter inglese, e questo lo ha portato a essere snobbato da coloro che apprezzano lo stile sopra ogni altra cosa. L’Irish non è un damerino, è un lavoratore molto serio e concreto, è un cane rustico. Avete presente quei setter inglesi che fermano la calda del selvatico? Questo con un irlandese non succede: quando il cane è in ferma potate star sicuri che c’è qualcosa.
Altro pregio, legato al suo temperamento e alla selezione, è la fluidità nella guidata. Nel Regno Unito i cani da ferma, durante le prove di lavoro, devono far alzare il selvatico senza essere toccati o spinti dal conduttore. Il setter irlandese se la cava naturalmente da solo e senza bisogno di aiuti; non esistono setter irlandesi che esitano nella guidata.
Ritengo di avere indicato due punti di forza importanti della razza eppure nell’Europa continentale il setter irlandese continua a essere guardato dall’alto al basso, come se fosse una sorta di cugino di campagna degli inglesi. Noto spesso questo atteggiamento da parte dei giudici italiani e stranieri che apprezzano sopra ogni cosa lo stile del pointer e del setter inglese. Nel Regno Unito l’approccio è un po’ diverso: il primo passo è valutare la capacità di cercare, di trovare e di lavorare il selvatico; appurato questo si valuta lo stile. In continente invece, è normale che gli appassionati si incantino a guardare un bel movimento e si innamorino di quel cane prima ancora che il abbia dimostrato le capacità di incontro e di lavoro del selvatico.
L’irlandese è un cane da lavoro: con lui si va a caccia per mettere qualcosa in padella. Ci sono indubbiamente cani più scenici e stilisti. A proposito di ciò, un altro nodo molto discusso in continente è quello dello stile di ferma dei rossi. A terra o eretti? E la coda? In verità qualsiasi posizione è da ritenere accettabile, l’importante è che la posizione sia rigida, intensa e che il linguaggio del corpo comunichi chiaramente la presenza di selvaggina.
In collaborazione con Susan Stone.
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