Dachsbracke e caccia al cinghiale

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I dachsbracke di Antonio Fiore: alla scoperta del segugio corto impiegato nella caccia al cinghiale.

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Il futuro della caccia al cinghiale secondo Antonio Fiore vedrà ancora una buona diffusione del segugio cosiddetto corto. In foto Antonio Fiore con uno dei suoi dachsbracke

Dachsbracke e utilizzo del cane corto nella caccia al cinghiale è il tema centrale di questa intervista ad Antonio Fiore, segugista romano appassionato di caccia al cinghiale. L’intervista di Emanuele Nava si apre con una domanda chiave. Che cosa s’intende per cane corto e come si concretizza il suo lavoro nelle varie fasi della cacciata?

Che cosa s’intende per cane corto

Il cane corto non è un cane con difetti o limiti che lo rendono sfruttabile solo in alcuni contesti venatori. Il fatto di essere corto nella sua azione viene troppo spesso frainteso e male interpretato. Si finisce così per giudicare questo genere di soggetti in termini dispregiativi.

Rispetto alle fasi classiche della caccia al cinghiale intendo subito sfatare il mito che vorrebbe il cane corto come un ausiliare privo d’intraprendenza, abituato a trescare tra i piedi del suo conduttore. Al contrario io, pur preferendo cani corti, ricerco soggetti attivi nella cerca, specialmente quando avviene prevalentemente nel folto, situazione dove, per ovvie ragioni, il canettiere farebbe molta fatica a seguire passo passo il suo ausiliare.

Certamente anche la cerca del cane corto dovrà essere razionale e comunque adeguata al tipo di territorio in cui il nostro soggetto viene impiegato a caccia. Personalmente caccio in zone di ridotta estensione, ma anche scarsamente popolate dal cinghiale. Ecco perché preferisco cani che abbiano una cerca ampia, ma che al tempo stesso non si protragga a oltranza, per arrivare all’incontro costi quel che costi.

Il termine corto fa invece riferimento principalmente alla fase della seguita, azione che è assolutamente prevista anche in questo genere di segugi. Per una serie di ragioni, però, deve risultare ridotta nello spazio e nel tempo, e soprattutto deve terminare con un rapido rientro dal conduttore. Sul concetto di rientro ritengo doveroso precisare il fatto che tutti i cani da seguita dovrebbero dimostrare capacità in tal senso e non solo quelli che definiamo corti. Il fatto stesso di essere abili inseguitori imporrebbe a questi cani di saper anche rientrare al termine di questa fase. Oggi, forse anche a seguito della diffusione delle moderne tecnologie per il tracciamento dei segugi, si sta un po’ dimenticando dell’importanza del rientro, sia in termini di utilizzo che di selezione del segugio.

Quando è vantaggioso l’impiego di un cane corto

Le motivazioni sono svariate e dipendono dalle specifiche condizioni morfologiche e vegetazionali di ogni areale di caccia, e dalle particolari esigenze di ogni squadra. Si sentono troppo spesso affermazioni assolutistiche che poco hanno a che fare con il senso pratico della caccia al cinghiale. L’Italia presenta una così grande varietà di ambienti, differenti per orografia, clima e vegetazione, tali da giustificare e rendere efficaci soluzioni di caccia anche agli antipodi tra loro. Ci sono in ogni caso fattori comuni a tutto il Paese che rendono interessante l’utilizzo del cane corto. Mi riferisco ad esempio alla diffusione del lupo, che rende molto rischioso il fatto di non riuscire a recuperare un cane entro il termine della giornata di caccia.

Un po’ ovunque, inoltre, la caccia al cinghiale è stata oggetto d’interventi di zonizzazione. Il territorio assegnato a ogni squadra raramente presenta un’estensione ottimale e i rapporti tra squadre confinanti purtroppo non sono sempre idilliaci. Esistono poi le aree di rispetto, meta molto frequente delle seguite nate in terreno cacciabile. Alcuni territori si contraddistinguono per un livello di urbanizzazione notevole, in queste zone la presenza di strade e ferrovie complica ulteriormente la vita ai grandi inseguitori. Ci sono, insomma, realtà in cui la seguita da massima esaltazione del segugio rischia di trasformarsi, specialmente se prolungata, in una fonte di ansia per il conduttore.

Il futuro del dachsbracke corto

Ritengo che non ci siano dubbi sul futuro del cane corto, considerato che le condizioni cui facevo cenno poc’anzi difficilmente andranno a scomparire nei prossimi anni. Il cane corto è un cane capace di fare di necessità virtù, rendendosi indispensabile dove le condizioni determinano la difficoltà dell’impiego di un grande inseguitore.

Tuttavia le possibilità di utilizzo di questi soggetti non si limitano a questi particolari ambiti. Il cane corto può trovare la sua collocazione anche all’interno di squadre che dispongono di territori in cui è possibile cacciare anche con razze dalla lunga seguita. Molti appassionati, infatti, sono soliti utilizzare nella stessa battuta prima i cani a più lungo raggio per poi sciogliere anche i soggetti più corti. Spesso questi ultimi riescono ad allungare la cacciata quando i primi hanno già superato il fronte delle poste, andando così a incrementare il numero dei cinghiali scovati e lavorando in un raggio di azione ideale per tenere sempre in tensione i postaioli, con la loro cacciata a portata di orecchio.

Qualche abile canettiere riesce anche nell’utilizzo complementare di cani lunghi e corti, anche se ciò non è così agevole. Infine, non dimentichiamoci degli interventi di contenimento, situazioni extracaccia che richiedono ausiliari dotati di maneggevolezza estrema, ancor prima che di qualità venatorie.

Alcune razze sono più indicate di altre

Da ormai quasi vent’anni ho scelto il dachsbracke, una razza che mi sta dando grandi soddisfazioni e di cui apprezzo particolarmente il grande rapporto d’intesa che è capace di instaurare con il suo conduttore e la sua maneggevolezza. Sono cani che, anche in considerazioni delle loro origini storiche, si prestano molto bene alla caccia al cinghiale e imparano rapidamente a rispettare tutti gli altri selvatici.

Oltre a una bella cerca, i dachsbracke normalmente esibiscono buone capacità di accostamento. Sul fermo la razza è decisamente migliorata; in passato, infatti, trovavamo spesso soggetti troppo irruenti per questa fase, oggi invece osserviamo parecchi cani molto riflessivi, che difficilmente si mettono nei guai, mantenendo sempre una distanza di sicurezza. L’abbaio a fermo è persistente e in questa fase è possibile percepire il raddoppio della voce. Alcuni soggetti iniziano a dare qualche scagno di allerta anche al termine dell’accostamento, fase che viene invece condotta in silenzio.

La seguita è precisa, con voce squillante, anche se mai eccessiva nella durata; immediato il rientro al termine della stessa. Molti soggetti hanno istintivamente l’attitudine a svolgere l’azione del pendolo, altri la imparano agevolmente. Questa fase la osserviamo specialmente quando il cane arriva al fermo a notevole distanza dal canettiere e pertanto esibisce l’attitudine a fare rientro dal canettiere per poi ritornare sul cinghiale.

I dachsbracke cacciano bene da soli o al massimo in coppia. Nonostante i pregiudizi sono ausiliari instancabili. Qualcuno pensa che la seguita corta sia dettata da una scarsa prestanza fisica, nulla di più falso. Basta osservare la velocità e reattività con cui rientrano al termine della seguita per capire che non è certo un limite fisico a frenarli nella seguita, bensì una prerogativa comportamentale.

Il limite da non superare

Ritengo importante utilizzare i cani da seguita assecondando la loro natura, ma ritengo anche doveroso riconoscere come nel sesto raggruppamento troviamo razze con prerogative diverse. Non ritengo snaturato un dachsbracke impegnato in zone da girata, come sono quelle dove caccio abitualmente io, con l’ausilio di una quindicina di poste al massimo. Mi trovo a sciogliere in zone confinanti con aree protette e non ritengo un limite, bensì un’esaltazione sotto il profilo cinofilo, la possibilità di disporre di un soggetto capace di esibire il rientro a comando anche sulla seguita oppure che si arresti in autonomia, dopo aver superato la linea delle poste. Troverei molto meno opportuno, sempre in termini cinofili, richiedere un simile lavoro a un segugio maremmano oppure a un ariégeois.

Serve pragmatismo

Ritengo, infine, che la cinofilia venatoria non debba mai perdere di vista un certo legame con il sano pragmatismo. Non nascondiamoci dietro un dito, inseguire un cinghiale è molto meno complicato rispetto alla seguita su lepre. Il punto è capire quanto è utile avere una seguita incalzante e prolungata sul cinghiale, al netto della sua bellezza estetica.

Sul tema del pragmatismo ritengo che i nostri nonni, nella loro semplicità, abbiano ancora molto da insegnarci. Ai loro tempi nei paesi vivevano, spesso liberi, i segugi di cui i nostri avi si servivano per andare a caccia, prevalentemente di lepri. Per esigenze diverse da quelle dettate dalla modernità, i cani dovevano comunque essere collegati e saper fare rientro al termine della battuta che si organizzava radunando i quattro o cinque cacciatori del paese. Forse in definitiva, il comportamento venatorio di quei cani ha molte più affinità di quel che si possa pensare con la razza, il dachsbracke, che oggi impiego con successo.

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