L’addestramento del cane da ferma, e di conseguenza la caccia praticata con il cane, è un’attività che rispecchia la realtà socio-antropologica in cui si svolge. Breve viaggio alla scoperta di tre diverse culture venatorie e di tre diversi modi di utilizzare il cane.
I miei primi approcci all’addestramento del cane da ferma derivano dalla cultura venatoria mitteleuropea e non da quella italiana, né tantomeno da quella inglese, che ho conosciuto e apprezzato solo più tardi. Perdonatemi se andrò in ordine sparso, senza seguire la reale cronologia, e inizierò a raccontare dall’esperienza italiana.
Con naturalezza: l’Italia
Le prime dritte sui cani da caccia le ho avute da una persona che addestra drahthaar secondo gli schemi tanto diffusi in Germania e nell’Europa continentale. Ma non si trattava ancora di caccia, quello era semplicemente addestramento. I primi passi con un cane al guinzaglio e un fucile in spalla li ho fatti molto all’italiana. Mi ha accompagnato una persona che ora non c’è più, portata via da un virus che finirà nei libri di storia, nei film e nei romanzi.
Molti anni prima che si verificasse questa pandemia, ho iniziato a muovere goffamente i miei primi passi nei boschi, animata da tantissima voglia di imparare. E che cosa ho imparato? Ho imparato che il setter inglese era (ed è ancora) il cane da caccia preferito dagli italiani e ho imparato che a tantissimi italiani piace praticare la caccia con il cane da ferma, a singolo o con un fidato compagno di caccia.
La situazione faunistica attuale non aiuta
Purtroppo la situazione faunistica attuale non incentiva la caccia con il cane da ferma eppure molti di noi si ostinano ad andare alla ricerca di un battito d’ali. Come preparano il cane a aiutarli in questa impresa? La maggior parte di loro non addestra i cani, ma fa fare loro esperienza. Il “non addestra” lo scrivo secondo i miei parametri, che magari non sono i vostri, ma lasciatemi spiegare.
Di tanto in tanto scappa la conversazione con qualche altro cinofilo, italiano e non. Tante, tante sere fa, chiacchierando con uno scozzese di origine polacca è emerso che i cani degli italiani devono essere in grado di auto-apprendere. Anche il cane, insomma, deve conoscere l’arte di arrangiarsi. I nostri cani imparano per tentativi, per colpi di fortuna e spesso copiando quello che fa un altro cane più esperto.
Il cacciatore ha pazienza con il cucciolone e lo porta fuori cercando di fargli fare esperienza. C’è chi li porta solo in Atc, chi ogni tanto al quagliodromo o in riserva, ma per lo più non vedo programmi di addestramento strutturati. Non a caso tanti dicono di andare ad allenare il cane, non di andare ad addestrare il cane. I cani imparano con grande naturalezza e, in qualche maniera, lasciandoli fare si selezionano i cani che sanno cavarsela meglio. Che ciò derivi dalla nostra storia e dal nostro stile di vita? Può darsi.
Il richiamo operativo
I nostri cacciatori vogliono un cane che dia loro il minor numero di problemi possibile. Proprio per questo veniva ritenuto molto importante il collegamento. Uso il passato perché oggi, con l’avvento della tecnologia Gps, in tanti fanno riferimento al cane, anziché preoccuparsi che il cane faccia riferimento a loro. Però a me hanno insegnato che il cane deve sì cercare, allungare e tutto il resto, ma che deve anche ricordarsi del cacciatore.
Non so se avete mai sentito parlare di “richiamo operativo”, un termine tecnico che indica come insegnare il richiamo a un cane. In pratica, si insegna al cane che il tornare alla base offre non tanto premi (in cibo o carezze), quanto esperienze positive come il reperimento o l’abbocco del selvatico. Tanti nostri cacciatori, senza aver mai studiato l’etologia, fanno proprio questo.
Come? Ciascuno un po’ a suo modo. C’è chi focalizza tutto, o quasi, sull’abbattimento e quindi premia il cane con l’abbocco del selvatico. E molti cani, in questa maniera, diventano più collegati e più gestibili. Altri invece improntano il lavoro sul reperimento della selvaggina aiutando il cane a trovarla.
Questo può essere fatto sia recandosi in zone C e B, e immettendo selvatici allevati, sia in terreno libero. Attraverso questi metodi, più intuitivi che strutturati, si crea una relazione collaborativa tra il cane e il cacciatore.
Cerca, consenso e ferma
Metodi simili vengono applicati per raffinare la cerca e il consenso, ritenuto molto importante, soprattutto se si possiedono cani inglesi, se si caccia con due cani o con lo storico compagno di caccia. Io vengo dal mondo degli inglesi e noi inglesisti apprezziamo tantissimo la solidità della ferma. Vuoi perché i selvatici sono pochi, vuoi perché il cane spesso va in ferma molto distante da noi, pretendiamo che ci aspetti e ci permetta di sparare in tutta comodità. Si ricerca la solidità della ferma come dote innata e la si aiuta a crescere. Come? Aspettando a sparare, accarezzando il cane, sparando soltanto se il cane ha fatto bene, si agisce d’istinto più che con metodo.
Il consenso è ritenuto altrettanto importante, sia per i motivi che ho appena menzionato, sia perché a noi italiani piace tantissimo vedere una “bella azione”, e due cani in consenso allietano la vista. Per rifinire il consenso il cacciatore fa, grossomodo, quello che ha fatto per la ferma, ovvero trattiene il cane in consenso, si avvale del supporto di un compagno di coppia più esperto, accarezza il cane e lo trattiene.
Conseguenza naturale di una buona cerca e di una buona ferma, con o senza consenso, è il riporto. Ai cacciatori italiani, in verità, più che il riporto interessa il recupero ovvero non tanto il riportare alla mano e con estrema precisione l’animale abbattuto, quanto andarlo a ripescare dovunque sia finito e portarlo in prossimità del cacciatore. Si tende un po’ a dare per scontato che il cane sia in grado di farlo e si assiste a una sorta di pressione selettiva in favore di cani che già sanno naturalmente fare o che riescono a impararlo in fretta.
Addestramento del cane da ferma nel Regno Unito
Curiosamente, se chiediamo a un cacciatore italiano di suggerirci un buon libro per l’addestramento del cane da ferma, tale cacciatore ci consiglierà di procurarci il libro di addestramento scritto da Felice Delfino. E Delfino attribuisce grande importanza all’ubbidienza o, meglio, a quello che viene definito “addestramento da cortile”, che comprende esercizi come il seduto, il terra, il resta (tutti e tre propedeutici al fermo al frullo) ed esercizi finalizzati alla costruzione del riporto. I cacciatori italiani che si imbarcano in questa impresa, a mio avviso utilissima, sono però una rarità.
Il metodo di addestramento proposto da Delfino prende spunto da quello che facevano gli addestratori britannici, ma la realtà venatoria di Scozia e Inghilterra erano e sono molto diverse dalla nostra. Quando, nel 2015, ho visto lavorare cani su un moor sono ammutolita. Non avrei mai immaginato che un setter e un pointer potessero essere così ubbidienti e così ordinati. Ciò che mi ha colpito di più è stata l’abilità nel mettere i cani a terra, in resta.
Il down (terra) è il pilastro su cui si fonda la cinofilia venatoria inglese, viene prima di tutto insieme alla steadiness (la capacità di restare fermi). Queste cose le scriveva anche Delfino, ma noi italiani quei paragrafi li abbiamo sempre un po’ letti saltando le righe. Quando arriva un cucciolo, le prime cose che i britannici si mettono a insegnargli sono seduto, terra, resta e l’invio a destra e sinistra, propedeutico al percorso. Ne parlavo la scorsa estate con Terry Harris, uno dei più importanti allevatori (affisso Sparkfield) e addestratori di cani da ferma inglesi.
Le basi dell’ubbidienza
Terry ha un metodo di addestramento molto “naturale” rispetto ad altri suoi connazionali, ma la prima cosa che insegna ai cani è muoversi alla sua destra e alla sua sinistra, lo imposta sui cuccioli come un gioco. Qualcosa di molto simile faceva Alan Neill, nord-irlandese, che si legava i cuccioli alla cintura e girava per casa giocando al “destra e sinistra” e nel frattempo collegandoli a lui.
A questo insegnamento, segue quello del terra-resta (down/stay) e chi ha cani da ferma dà per scontato che il proprio cane vada a terra a comando (you should be able to drop your dog), senza se e senza ma, e ci resti. Le basi dell’ubbidienza vengono poste da subito, in cortile, molto prima di portare il cane in campo. A nessun cane viene concesso di incontrare il selvatico se prima non ha almeno una base di ubbidienza, da rifinire con la corda lunga.
L’approccio, come potete notare, è diametralmente opposto al nostro ed è frutto di una diversa tradizione venatoria. La caccia era riservata alle classi abbienti e la caccia con il cane da ferma è sempre stata un fenomeno di nicchia. Non dimentichiamo poi che la gestione faunistico-venatoria, basandosi su riserve private, era ed è completamente diversa dalla nostra. Lassù non occorre fare i salti mortali per reperire il selvatico.
Mi stavo dimenticando invece del riporto, che come ben sapete gli inglesi non richiedono alle loro razze da ferma. Ci pensavano e ci pensano labrador e springer, addestrati con infinta cura a riportare in maniera impeccabile e a rimanere steady (immobili) al piede mentre i cani da ferma lavorano.
Versalità e rigore: la Germania
Chiudiamo il cerchio partendo proprio dalla filosofia di addestramento che ho conosciuto per prima, quella tedesca e mitteleuropea. Cosa vi aspettereste da un popolo pragmatico e concreto? Cani tali e quali, come di fatto i cani da ferma tedeschi sono.
Ci troviamo di fronte a cani costruiti per l’efficacia dell’azione, non per la bellezza del gesto atletico. Certo, noi italiani abbiamo saputo adattarli ai nostri usi e costumi, così pensate alla classe e alla velocità dei kurzhaar nostrani. Ma i tedeschi che cosa ci fanno con i loro cani? Il cane da caccia deve essere un cane utile, il concetto di cane da ferma è da intendersi in senso lato. Il cane deve sì fermare, cosa che non si chiede a un segugio o a un bassotto, ma deve saper fare anche un sacco di altre cose che normalmente in altri Paesi vengono svolte da razze specialiste.
L’importanza del riporto
Anche i tedeschi partono con l’addestramento all’ubbidienza, concentrandosi sia sul seduto, il resta e il terra, sia sui riporti, ritenuti importantissimi; per un tedesco un buon riporto ha lo stesso valore che noi attribuiamo a una bella ferma. Si inizia con il far tenere ai cuccioli dei piccoli riportelli, poi si sale di difficoltà utilizzando l’infinita gamma di gadget appositi che il cacciatore tedesco generalmente possiede. Si parte dal riporto su terra e si arriva al recupero e riporto in acqua su animale morto o ferito. Nel frattempo, si insegna al cane anche a recuperare animali feriti (sulla terraferma) costruendo delle piste artificiali (schleppen).
Altri impieghi
Molti vanno poi anche oltre insegnando ai cani il lavoro sui predatori (celebre il riporto di volpe su ostacolo), il lavoro sulla traccia di sangue e la difesa della spoglia. Come potete capire al cane è richiesta la massima versatilità e al cacciatore la massima dedizione. Non è infatti affatto semplice portare un cane a svolgere in maniera efficace e gestibile tutti questi esercizi.
Nella mia esperienza, sono pochi i cacciatori italiani che scelgono e riescono a aderire a questo modello addestrativo. Si passa gran parte del primo anno di vita del cucciolo ad addestrarlo e si continua così per tutta la vita del cane, intervallando la caccia con costanti sedute di addestramento e di ripasso, quale che siano il clima e la stagione.
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