Le zoonosi sono patologie indotte da agenti patogeni (virus, batteri, parassiti) che hanno la capacità di modificarsi per adattarsi a un ospite appartenente a una nuova specie, l’uomo.
Sebbene prima della pandemia di covid-19 fossero state rinchiuse in qualche cassetto della memoria, le zoonosi – le malattie trasmissibili dagli animali all’uomo – sono numerose, nonché terribilmente attuali. Questo perché uomini e animali vivono l’uno accanto all’altro; le città sconfinano sempre più nelle campagne; la fauna selvatica visita sempre più spesso le nostre città; in tempi brevissimi arriva, o si fa arrivare, merce dall’altra parte del mondo; infine perché stiamo assistendo a radicali cambiamenti ambientali. Tutti questi elementi favoriscono la comparsa e la diffusione di zoonosi.
I veterinari che si occupano di sanità abbiano un ruolo di primo piano nel monitoraggio e nella prevenzione. La malattia deve infatti essere individuata e controllata prima che raggiunga l’uomo. Per tutelare la salute dell’uomo la medicina veterinaria tiene infatti d’occhio alcune criticità (la prevenzione di malattie professionali di origine animale; l’epidemiologia all’interno delle popolazioni di animali domestici, selvatici e sinantropici; le emergenze sanitarie come conseguenza di disastri naturali o causati dall’uomo; il controllo dell’inquinamento creato dagli allevamenti e dalle lavorazioni dei prodotti di origine animale; gli aspetti sociali dell’animale da compagnia).
Il cacciatore si inserisce nel contesto toccandone più di una. Anche se per passione e non per lavoro, è a contatto con gli animali selvatici, si muove in territori che possono essere inquinati e quasi sempre condivide la sua propria con almeno un animale domestico. È insomma sia sentinella sul territorio sia primo indicatore di un eventuale problema. È sufficiente pensare a quei cacciatori che hanno contratto la tularemia maneggiando una lepre o la trichinellosi mangiando un insaccato di cinghiale oppure, più banalmente, che hanno portato a casa qualche zecca attaccata alle gambe.
Le zoonosi: una sola salute
Le malattie infettive e parassitarie possono essere classificate come endemiche (stabilmente presenti in una popolazione o in un territorio), emergenti (l’agente patogeno è sconosciuto o si manifesta per la prima volta in una popolazione oppure in un territorio) o riemergenti (il patogeno ricompare in una popolazione o in un territorio in cui era stato eradicato). Tre esempi, uno per categoria: leishmaniosi, covid-19; tubercolosi bovina. Il Mycobacterium bovis è infatti praticamente scomparso tra gli animali domestici, ma sta ricomparendo tra gli animali selvatici, soprattutto tra i cervidi.
In medicina si parla sempre più spesso di approccio one health. La salute è una e una sola per tutti: la salute dell’uomo è legata a quella degli animali e dell’ambiente. In quest’ottica, una modificazione del clima o dell’ecosistema può arrecare danno alla salute dell’uomo e degli animali; lo stesso può accadere quando compare una malattia all’interno di una popolazione animale. Tutto è legato. In questo fragile gioco di equilibri l’essere umano si colloca sullo stesso piano in cui si trovano l’ambiente e gli animali. Siamo parte dello stesso gioco senza alcun privilegio. E in questo gioco si inseriscono anche le zoonosi.
Il contatto tra l’uomo e gli animali selvatici si è intensificato e le cose sono destinate a proseguire in questa direzione. Chi va a caccia è abituato a vedere i selvatici da vicino; ma il commercio, legale e non, di animali selvatici vivi è fiorente. E ciò li porta a stretto contatto con l’uomo. Inoltre i cambiamenti ambientali, modificando gli habitat naturali, abbassano la biodiversità e contemporaneamente portano in città o in nuovi territori animali che lì non dovrebbero stare. Quando una specie animale non programmata per vivere accanto all’uomo gli si sposta vicino, alcune problematiche si palesano immediatamente (esempio chiaro: gli incidenti d’auto causati dagli ungulati); altre agiscono in maniera più subdola, come accaduto a Wuhan.
Un rapporto da ripensare
Le zoonosi sono patologie indotte da agenti patogeni (virus, batteri, parassiti) che hanno la capacità di modificarsi per adattarsi a un ospite appartenente a una nuova specie (uomo). I patogeni coinvolti nelle zoonosi sono molto versatili, capaci di adattarsi per sopravvivere e per propagarsi. A seguito della pandemia di covid-19 gli studiosi e coloro che si occupano di sanità pubblica hanno acceso i riflettori sulle cosiddette zoonosi emergenti. In medicina veterinaria se ne parla da più di dieci anni, ma solo di recente questo problema è uscito dalla cerchia ristretta. Per zoonosi emergente si intende una zoonosi riconosciuta o che si è evoluta di recente oppure che, sebbene già presente, si è diffusa in maniera rapida e improvvisa. È qualcosa che arriva di sorpresa e che può creare problemi a livello locale o globale come è successo nel 2020.
Non resta che chiedersi se non sia giunto il momento di ripensare il rapporto tra l’uomo e l’ecosistema. Attorno alle zoonosi emergenti ruotano almeno quattro fattori: i mercati in cui si vendono animali vivi; la caccia; l’allevamento intensivo di animali selvatici (anche a uso venatorio); l’allevamento intensivo di animali domestici. A questi ingredienti se ne aggiungono altri, ossia le caratteristiche: del patogeno; dell’ospite target; della popolazione interessata; dell’ambiente in cui tutto questo accade. Il patogeno può essere più o meno capace di resistere nell’ambiente e ai disinfettanti; alla stessa stregua può essere più o meno veloce a replicarsi e più o meno capace di adattarsi a ospiti di diverse specie. E il singolo ospite può essere più o meno ricettivo al patogeno.
Cacciatori protagonisti e testimoni
A livello di popolazione umana dobbiamo invece prendere in considerazione la sua densità, la sua efficienza immunitaria, le sue abitudini (mangiare cibo crudo, andare a caccia, condividere gli spazi con animali) e la sua vicinanza con popolazioni di specie diverse. Statisticamente le zoonosi emergenti tendono a comparire nelle aree più densamente popolate. Si è portati a pensare che le zoonosi siano un problema dei Paesi meno sviluppati o con standard igienici piuttosto bassi, ma non è così. Contano di più la densità della popolazione e la facilità e la rapidità degli spostamenti, fenomeni che interessano i Paesi ricchi.
I salti di specie, ossia la capacità di una malattia di attaccare una specie diversa da quella originaria, sono sempre esistiti; si stima che il 60% delle malattie infettive che interessano l’uomo sia partito dagli animali. Il problema è che, uniti ai sempre più drastici cambiamenti dell’ecosistema, tutti gli elementi presi in esame amplificano il rischio di zoonosi emergenti. I cambiamenti degli ecosistemi comportano molte conseguenze. Questa nuova normalità ha un prezzo. È sufficiente pensare al connubio ungulato-zecca; in certe zone è garantito trovarsi attaccata una zecca. Di conseguenza è possibile contrarre la malattia di Lyme: appunto, una zoonosi. Il cacciatore è sia testimone sia protagonista del mutato ecosistema. Il cambiamento climatico ha inoltre portato al nord insetti vettori di malattia tipici del sud come il pappatacio che tramette la leishmaniosi, malattia che può colpire anche l’uomo.
Zoonosi e spillover: effetto traboccamento
Lo spillover è quell’evento che si verifica quando un patogeno riesce a passare da una specie all’altra, infettandola. Ciò che rende la specie umana particolarmente ricettiva a uno spillover è la sua facilità di movimento attraverso territori ed ecosistemi. Quando si va a toccare un ecosistema si porta via qualcosa di lui e magari lo si rilascia altrove. Possono essere coinvolti nello spillover gli animali sia domestici sia selvatici.
Il pipistrello è un mammifero particolarmente vocato a partecipare a un evento spillover grazie a particolari caratteristiche fisiologiche e immunitarie che lo rendono il perfetto veicolo per la diffusione dei patogeni, in particolare dei virus; può essere definito una sorta di portatore asintomatico. Il vero problema però sta nel fatto che i pipistrelli sono ricettivi a migliaia di virus: sono stati individuati ben 3.796 coronavirus. Con lo spillover l’uomo ne ha incontrati soltanto due, il virus della Sars e il Sars-CoV-2. Il passaggio è presumibilmente avvenuto in un momento di difficoltà per l’animale; uno stato di stress comporta infatti un abbassamento della risposta immunitaria che, a sua volta, causa la riattivazione e il rilascio in ambiente dei virus. E un pipistrello può dirsi stressato se non trova cibo, se ha esperienza di condizioni climatiche avverse, se è stato confinato in una gabbia o se il suo habitat è stato distrutto.
Epidemiologia urbana delle zoonosi
L’esempio del pipistrello è drammaticamente attuale, ma il nostro sguardo deve andare oltre. Ciò che è successo potrebbe accadere anche con un’altra specie al centro del processo. E anche in questo caso noi uomini avremmo una buona parte di responsabilità.
Anche il nostro stile di vita può essere concausa di zoonosi emergenti. Non a caso si inizia a parlare di epidemiologia urbana delle zoonosi. Gli uomini portatori del Sars-Cov-2 lo eliminano attraverso le feci. Quindi questo arriva quindi nelle acque reflue e sopravvive ai trattamenti di depurazione, mirati all’eliminazione dei batteri. A questo punto il coronavirus ha raggiunto corsi e ristagni d’acqua in cui si abbeverano gli animali. Così la fauna locale può far partire un nuovo evento spillover, ripetendo quello che tutti noi abbiamo drammaticamente ben noto.
L’articolo sarà pubblicato su Caccia Magazine ottobre 2021, in edicola nella seconda metà di settembre. Avete letto tutti gli articoli della sezione caccia?