Il periodo di caccia a ogni specie è per legge inferiore all’intera durata della stagione venatoria.
Le Regioni non possono far coincidere il periodo di caccia a una specie con l’intera durata della stagione venatoria, di per sé compresa tra il 1° settembre e il 31 gennaio. Bisogna sempre rimanere nell’arco temporale massimo previsto dalla legge quadro, anche per specie problematiche. Lo ha deciso la Corte costituzionale accogliendo il ricorso del governo contro la legge di stabilità 2020 del Molise e cancellando il quinto comma, lettera a, dell’articolo 12. Le motivazioni sono state depositate ieri.
Il periodo di caccia a una specie è per legge “inferiore all’intero intervallo di tempo [compreso tra il 1° settembre e il 31 gennaio]”. Le Regioni possono dunque lavorare sulle date, ma non sulla durata: se anticipano l’apertura, devono anticipare anche la chiusura in compensazione. La legge di stabilità 2020 del Molise aveva invece introdotto una forma surrettizia di controllo faunistico “svincolata dai precisi limiti procedimentali previsti” dalla legge quadro.
La Corte costituzionale censura anche la mancata previsione del parere Ispra: ogni decisione sulla modifica del prelievo deve infatti passare di qui.
Il testo dell’articolo dichiarato incostituzionale
“Qualora la presenza sul territorio regionale di una specie faunistica venabile risulti eccessiva, la giunta regionale, ai fini della riduzione delle criticità arrecate, può con propri atti estendere il periodo del prelievo venatorio per l’intero arco temporale inteso dall’inizio al termine dell’intera stagione venatoria”.
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